Sarebbero 700 gli jihadisti turchi che si sono uniti agli estremisti in Siria e in Iraq e di cui il ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu teme il ritorno in patria. “Una preoccupazione comune rispetto ai foreign fighters è: cosa accadrà quando rientreranno nei loro Paesi? Questo preoccupa anche noi'” , ha detto Cavusoglu ai giornalisti.
“Ogni Paese può essere un obiettivo di Daesh – ha affermato il ministro usando l’acronimo arabo per l’Is – e la Turchia è sempre stata nel mirino dei terroristi, al di là delle misure adottate”. Il motivo è che non è mancato di condannare il gruppo in quanto “spietata organizzazione terroristica che non rappresenta in alcun modo l’Islam” e per aver difeso questa posizione, ha aggiunto “dobbiamo essere cauti e prendere le necessarie misure”.
Da tempo il Paese sarebbe sotto accusa perché permetterebbe il passaggio di combattenti jihadisti verso la Siria e l’Iraq. Le critiche a riguardo si sono inasprite da quando lunedì è stato reso noto che Hayat Boumedienne, compagna del killer nel minimarket di Parigi, è entrata in Siria attraverso la Turchia qualche giorno prima degli attacchi. In risposta a questi sospetti Cavusoglu ha precisato che le autorità francesi erano state avvisate ma non hanno agito sulle informazioni fornite da Ankara, inoltre dalla capitale è stato vietato l’ingresso a 7.250 persone dall’estero che volevano unirsi all’Isis e 1.160 volontari jihadisti sono stati espulsi. Il ministro ha aggiunto inoltre che il Paese sta prendendo “misure estreme” per garantire la sicurezza lungo i 911 chilometri di confine con la Siria, anche se “un passaggio si può sempre trovare”.