Almeno sei morti e circa cento feriti. È il bilancio delle proteste in India contro la legge sulla cittadinanza voluta dal primo ministro Narendra Modi. In tanti ritengono la norma federale discriminatoria nei confronti dei musulmani. Il giornalista Matteo Miavaldi su ilmanifesto scrive che la nuova legge così concepita rappresenta “il primo passo di un settarismo di stato che mina i principi di uguaglianza e secolarismo su cui si è fondata l'idea di India partorita dai padri della patria nel 1947″. Ieri si sono tenute le proteste più violente, nel nord-est del Paese così come nella capitale New Delhi, con scene apocalittiche. Intanto, i governatori degli Stati di Punjab, Bengala Occidentale, Chhattisgarh, Kerala e Madhya Pradesh – tutte regioni non governate dal Bharatiya Janata Party, il partito di Modi – si rifiuteranno di applicare la nuova legge federale.
Le legge
“Un giorno storico per l'India e per i valori di solidarietà e fratellanza della nostra nazione”. Così il premier Modi ha salutato la nuova legge federale che agevolerebbe gli immigrati provenienti da Bangladesh, Pakistan ed Afghanistan ad ottenere la cittadinanza. Della norma, però, non godrebbero i musulmani, ma solo le comunità hindu, sikh, jainiste, cristiane, buddhiste e parsi. Per l'opposizione l'obiettivo è proprio marginalizzare i musulmani: il deputato dell'opposizione Derek O'Brien ha indicato la legge come una “inquietante analogia” con le leggi razziali nella Germania degli anni Trenta. Gli hanno fatto eco diversi esponenti dell'opposizione e ad alcune organizzazioni umanitarie per i quali la legge violerebbe il principio di laicità dello Stato previsto dalla Costituzione. In altre parole, dimezzando il tempo previsto per ottenere la cittadinanza ad alcune minoranze religiose, si discriminano, di fatto, quelle non contemplate nella legge, come gli ahmadi provenienti dal Pakistan e i rohingya del Myanmar. Sui migranti irregolari, l'emendamento alla legge sulla Cittadinanza è molto chiaro: prigione o espulsione.
Studenti in rivolta
I maggiori focolai degli scontri sono proprio gli atenei del Paese. Miavaldi riporta fra le città più sensibili Aligarh, centro universitario nello stato dell'Uttar Pradesh, dove il governo ha interrotto le comunicazioni via internet per impedire l'organizzazone e manifestazione di piazza. Nel Bengala Occidentale e in Bhiar, invece, tuttora si susseguono scene di vera e propria guerriglia urbana, con auto date alle fiamme e strade trasformate come fronti di lotta. Ad alzare la voce sono soprattutto le minoranze musulmane dell'intera area. Migliaia di truppe sono state dispiegate ed è stato imposto un coprifuoco per tentare di sedare le rivolte.
La condanna dell'Onu
Nel frattempo, anche le Nazioni Unite hanno espresso riserve sulla legge, definendola “fondamentalmente discriminatoria”. Secondo l'Organizzazione, se l'obiettivo della protezione dei gruppi perseguitati è ben accetto, “ciò dovrebbe essere fatto attraverso un solido sistema nazionale che garantisca il diritto di asilo basato sul principio di uguaglianza piuttosto che di discriminazione”.