L'uasi tutto come previsto in Spagna: i sondaggi che davano il Psoe in vantaggio vengono confermati e i sentori che lo volevano per l'ennesima volta senza maggioranza pure, con il risultato che dopo la quarta tornata elettorale in quattro anni nel Paese non cambia praticamente nulla. Secondo i risultati, il partito del premier ad interim Pedro Sanchez resta il primo in termini di consensi ma con un leggero calo di seggi, così come la coalizione di Unidas Podemos, che scenderebbe addirittura di una decina di seggi. In leggera salita, per quanto riguarda la sinistra, il piccolo fronte scissionista di Inigo Errejon, che per la prima volta ottiene dei seggi in Parlamento. Decisamente migliore la situazione sul lato della destra, con Vox che balza, come previsto, a una sessantina di seggi (contro i 24 ottenuti ad aprile) e il Partito Popolare che risale di circa trenta. Una situazione che conferma comunque lo stallo, visto che i partiti di destra sono di fatto impossibilitati a formare una maggioranza e che il Psoe resta davanti a tutti, pur perdendo qualche tacca di consenso. Il che, in sostanza, riporta in essere l'impasse che finora aveva impedito alla Spagna di venir fuori dal pantano politico.
Lo scenario
L'obiettivo non era tanto vincere, in Spagna, quanto avere quei numeri sufficienti a iniziare un percorso che abbia continuità. Quello che è mancato al Paese iberico da quattro anni a questa parte, contraddistinti da quattro tornate elettorali. Praticamente un record, per una Nazione che ha a più riprese confermato di non riuscire a trovare la quadra politica fra le varie forze in campo, nemmeno con parecchi mesi a disposizione per intavolare un dialogo e porre le basi di una possibile intesa. E allora, dopo il fallimento dei negoziati che hanno fatto seguito al voto di aprile, la Spagna ci ha riprovato senza nemmeno una certezza di riuscirci. E, soprattutto, senza una vera e propria campagna elettorale dei partiti in corsa, visto che la mancanza di un accordo per la maggioranza ha fatto sì che il decorso elettorale non finisse mai. Stando ai numeri, infatti, la sensazione era che il Partito socialista del premier ad interim, Pedro Sanchez, stesse viaggiando verso la riconferma ma con il problema ormai cronico dell'assenza di maggioranza. Ma, dati alla mano, sembrava che le quarte elezioni potessero riservare anche qualche sorpresa, con Vox di Santiago Abascal segnalato in costante crescita, dopo aver centrato un risultato già storico lo scorso 28 aprile, quando entrò per la prima volta in parlamento con 24 deputati.
Nodo catalano
Al netto delle previsioni, il nodo vero era ed è rimasto la formazione della maggioranza, questione che, come unico punto di incontro fra le varie componenti, conserva la questione catalana. Sull'intrnasigenza verso le richieste d'indipendenza della regione sono tutti più o meno concordi anche se, per paradosso, è una delle varianti che ha impedito ai due principali partiti della sinistra, il Psoe di Sanchez e la coalizione Unidas Podemos di Pablo Iglesias, di dare il là all'intesa di governo. Podemos, infatti, è l'unico partito aperto al nuovo referendum, stavolta legittimo, per sciogliere una volta per tutte l'intricato nodo catalano. Il resto lo fanno i termini dell'intesa, con Sanchez disposto a trattare l'accordo sul programma ma non sugli incarichi, questione che ha di fatto portato a un prevedibile rimpallo di responsabilità fra i leader rispetto al fallimento dei negoziati.
In sostanza, i 37 milioni di spagnoli che erano al voto lo hanno effettuato con le idee ben poco chiare. E in un clima di tale incertezza, specie in merito alla crisi della sinistra, si è registrata l'ascesa dei populisti, che la nuova tornata elettorale potrebbe confermare una volta per tutte. Senza tuttavia poter insidiare (la destra in generale) la leadership del Psoe, al quale potrebbe prevedibilmente restare l'incombenza di prima. A sciogliere i dubbi ci penseranno gli exit poll delle 20.