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Il pantano della Brexit

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Sembra esserci un intoppo di fondo sul tema Brexit, che impedisce all'accordo messo sul piatto dal premier Johnson di muoversi dalla situazione di stallo. Ieri i vertici dell'Ue sono stati categorici con il leader Tory, stizziti per i mancati progressi e lapidari sul fatto che, alle condizioni attuali, ottenere la stretta di mano con Bruxelles sia praticamente impossibile. A certificare l'ennesima crisi Ue-Uk, erano state le parole del presidente dell'Europarlamento David Sassoli, critico sull'atteggiamento di Johnson e pessimista sulla raggiungibilità dell'intesa: “Sono molto dispiaciuto. Il 31 ottobre è alle porte e sulla Brexit non c'è alcun progresso. Johnson me lo ha detto più volte: 'Non chiederò mai un rinvio della Brexit'“. Ed ecco il nodo: al di là dei proclami, il premier sarebbe obbligato a norma di legge a chiedere di posticipare la data di uscita dall'Unione qualora non riuscisse a trovare la quadra entro il 19 del mese, in base alla norma salva-nazione voluta dalle opposizioni e approvata a tempo di record prima che Johnson si esibisse nella mossa (poi rivelatasi inefficace) della chiusura del Parlamento.

Crisi sul backstop

Alla legge del rinvio il premier è obbligato ad attenersi e, a meno che nelle ultime due settimane non trovi un improbabile canale di aggiramento, in caso contrario andrebbe incontro a tutte quelle conseguenze nefaste che la dichiarazione di illegalità dello stop al Parlamento gli aveva per ora risparmiato. Il problema è che, come previsto, la soluzione alternativa sul backstop irlandese non è andata bene all'Europa, contraria all'istituzione di controlli doganali al confine fra le due Irlande, anche se staccati dalla linea di frontiera e pur se minimi. Era nell'aria la bocciatura ma, forse, non era altrettanto prevista la presa di posizione granitica del premier britannico, consapevole dei potenziali rischi legati al No deal ma comunque convinto di voler proseguire sulla strada dell'uscita il 31 ottobre, con o senza intesa. I piedi puntati di Johnson, a ben vedere, potrebbero derivare dalla stessa ragione, essendo convinto (secondo fonti di Downing Street citate da alcuni tabloid britannici) che il no di Bruxelles al nuovo disegno di backstop nasconda una volontà di tenere Londra ancorata ai dettami del mercato unico attraverso la permanenza di Belfast. Un muro contro muro che non giova alle trattative, mai come ora a un punto morto, vista anche la telefonata fra Johnson e Merkel che non è certo andata meglio del colloquio tra il premier britannico e il presidente Sassoli.

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Stallo pericoloso

In sostanza, la posizione di Johnson non è chiara nemmeno all'Europa, irritata dal suo atteggiamento ma, allo stesso tempo, ancora in cerca di chiarimenti su quale sia la strategia del premier, in virtù di una possibile uscita senza “deal”. Gli Yellowhammers, pubblicati qualche settimana fa, hanno dimostrato la preoccupazione del governo o, quantomeno, la messa in conto di ogni scenario possibile, anche il più catastrofico. E, allo stesso tempo, a meno di clamorose vie d'uscita il mancato rispetto della legge sull'obbligo di richiedere il rinvio avrebbe conseguenze importanti, a livello legale e anche nel corpus del governo, visto che molti ministri hanno già annunciato di volersi fare da parte in caso di No deal. Emblematico, in questo senso, il tweet del presidente del Consiglio europeo Donald Tusk: “Qui in gioco non c'è uno stupido scaricabarile, qui in gioco ci sono il futuro dell'Europa e del Regno Unito, la sicurezza e la vita delle persone. Non vuoi un accordo, non vuoi un'estensione, non vuoi revocare la Brexit, quo vadis?”. Quello che hanno cominciato a chiedersi un po' tutti, anche i suoi ministri pare.

Damiano Mattana: