Un elegante vestito scuro di buona fattura ha sostituito, per l'occasione, la tradizionale kandura, la tunica largamente usata nei paesi musulmani e in particolare in quelli del Golfo. Si è presentato così, e con un impressionante numero di uomini al seguito, il ministro degli esteri degli Emirati Arabi Uniti, il dottor Anwar Mohammed Gargash, all'incontro organizzato dalla Società Italiana per l'Organizzazione Internazionale (Sioi) e dall'ambasciatore degli emirati a Roma, Alshamsi. L'incontro si è svolto a piazza San Marco a Roma alla presenza del presidente della Sioi, Franco Frattini. Lo scopo dell'evento era quello di illustrare all'opinione pubblica italiana la politica e le relazioni internazionali del piccolo Paese della penisola arabica.
La guerra
Il Ministro ha affrontato tutti, o quasi, i temi di politica estera che emergono dalle cronache dei giornali: dall'espansionismo nel Medio Oriente della Russia e della Cina, all'islam politico dei Fratelli musulmani, alle tensioni tra gli Stati Uniti e la repubblica islamica iraniana. Ma il tema centrale dell'incontro è stato la guerra che da anni incendia lo Yemen, la repubblica più meridionale della penisola arabica e che ha generato la peggiore crisi umanitaria del momento. Partita come una guerra civile tra ribelli sciiti Huthi contro il governo sunnita del Paese, la crisi si è trasformata in una guerra aperta a partire dal marzo del 2015, quando è cominciato l'intervento militare di una coalizione di paesi sunniti guidati dall'Arabia Saudita e di cui fanno parte anche gli Emirati Arabi. Il ministro si è detto assolutamente d'accordo per “arrivare ad una soluzione politica della crisi nello Yemen con il coinvolgimento diretto della Nazioni Unite. I Paesi della coalizione sono tutti d'accordo che il 2019 debba essere l'ultimo anno di guerra”. Una dichiarazione che non sembra del tutto credibile per la politica italiana. Mercoledì mattina infatti la Camera dei Deputati ha approvato una mozione sul conflitto in Yemen in cui impegna l'italia “a sospendere le esportazioni di bombe d'aereo e missili verso l'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti (…) sino a quando non vi saranno sviluppi concreti nel processo di pace”. Qualche giorno fa anche la Gran Bretagna aveva sospeso l'export di armi verso i paesi coinvolti nel conflitto. Su quale debba essere la strada scelta per raggiungere la pace, però, il ministro non è stato altrettanto chiaro. Il suo governo punta su un ulteriore coinvolgimento delle Nazioni Unite, anche se non si nascondono i nodi di questo piano: gli Huthi “agiscono – nella penisola arabica – per delega dell'Iran”. Non solo: come in Libia anche nello Yemen si è generata una “economia di guerra”. I ribelli Huthi hanno ricevuto 4 miliardi di dollari in finanziamenti, più o meno quanto ammonta il pil dello Yemen. Quindi si capisce che “non hanno alcuna voglia di tornare ad essere un partito tra molti”, conclude il Ministro.
Teheran
Parlare della crisi yemenita coinvolge necessariamente anche la Repubblica islamica dell'Iran, “un regime teocratico che vive come se fossero 100 anni fa”, sottolinea asciutto il Ministro Gargash “e che mira all'espansione politica (non militare) nell'area. Così si passa da una crisi ad un'altra crisi, in un'eterna 'soap opera'”. Tuttavia, il politico si dice contrario ad una soluzione militare, “tutti devono contribuire ad abbassare il livello di scontro” nell'area. In questo senso la decisione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di non rispondere militarmente all'abbattimento di un drone da parte dell'Iran viene applaudita da Gargash. “L'Iran è un interlocutore fondamentale per la nostra politica estera”. “Noi lo consideriamo culla di una grande civiltà e un'importante potenza regionale. Dobbiamo lavorare insieme per costruire la stabilità nell'area”.
La visita
Per la prima volta nella storia, nel febbraio di quest’anno il Papa si è recato in visita pastorale nella penisola arabica. Un evento di grande successo che “deve indicare la strada anche al mondo arabo e musulmano per accettare la diversità religiosa”, spiega il ministro. “Non saranno 5mila persone di fede diversa a dirottare la nostra religione”. Ciò che è passato sotto il silenzio del Ministro è stato il deciso richiamo pronunciato da papa Francesco, che più volte ha denunciato la tragedia dello Yemen, soffermandosi soprattutto sulla sofferenza dei bambini: “La popolazione è stremata dal lungo conflitto e molti bambini soffrono la fame: il loro grido e quello dei loro genitori sale al cospetto di Dio». «Faccio appello alle parti interessate e alla Comunità internazionale per favorire con urgenza il rispetto degli accordi, assicurare il cibo e lavorare per il bene (…) (dei) nostri fratelli nello Yemen”. E ancora, subito prima di partire per la visita pastorale: “Sono dei bambini che hanno fame, hanno sete, non hanno medicine e sono in pericolo di morte”. Secondo quello che riporta Save the children, negli ultimi tre anni nello Yemen sono morti di fame circa 85mila bambini.