Dopo cinque giorni di proteste di piazza, il governo romeno ha deciso di revocare il cosiddetto “decreto salva corrotti”. Il governo di coalizione (formato dai socialisti, primo partito dopo le elezioni dell’11 dicembre scorso, e dai liberali della Alde) ha infatti deciso di ritirare e revocare il decreto d’urgenza sulla depenalizzazione dell’abuso di ufficio e di altri reati di corruzione voluto, assicurava, solo per svuotare le prigioni sovraffollate.
Della riforma del codice penale – che derubricava a reati civili quelli relativi a somme illecite sotto i 48mila euro – avrebbero beneficiato moltissimi politici indagati, condannati o sospettati di corruzione, in maggioranza esponenti del Partito socialdemocratico (Psd, erede del partito comunista).
Ma i cittadini non l’hanno accettato e sono scesi per giorni per le strade di Bucarest per manifestare il loro sdegno. E, come non succede neppure in Nazioni considerate esempi di democrazia, la gente ha vinto. “Non voglio dividere il Paese, la Romania non può essere divisa in due”, ha detto il primo ministro socialista Sorin Grindeanu in diretta tv.
Solo due giorni fa, il premier aveva ribadito la sua intenzione di andare avanti con il progetto: “Abbiamo preso una decisione all’interno del governo e la porteremo avanti”. Per fortuna, e grazie a quella che viene già definita la “primavera rumena”, il Governo ha fatto un paso indietro. Al suo annuncio, per decine di migliaia di dimostranti che avevano marciato sul Parlamento la protesta si è trasformata in festa, proseguita poi per tutta la notte.