La tensione ad Hong Kong è ancora alta: migliaia di manifestanti, da giorni, sono coinvolti in quella che si sta rivelando la più grande manifestazione mai avvenuta nel Paese. La protesta è stata innescata dalla decisione di Pechino di porre forti limiti alle prime elezioni a suffragio universale del capo del governo locale previste per il 2017, limitando a due o tre il numero dei candidati alla carica di “chief executive” ed annunciando che i questi saranno approvati da un’apposita commissione elettorale di 1400 persone. I movimenti studenteschi rivendicano l’ampliamento delle istituzioni democratiche, ma le autorità locali rispondono con fumogeni atti a facilitare la dispersione degli insorti. Ieri, il governatorato di Hong Kong, aveva minacciato l’intervento dell’esercito. Nelle prime ore di questa mattina, tuttavia, ha annunciato il passo indietro: saranno ritirate le truppe antisommossa dalle piazze occupate. Ma con una richiesta: che la folla si disperda il più pacificamente possibile e che le occupazioni in corso vengano abbandonate.
La comunicazione del governo ai manifestanti, giunta via internet, invita anche a rinunciare ad occupare le strade, “in modo che nel più breve tempo possibile i veicoli di emergenza possano passare e venga ripristinato parzialmente il servizio di trasporto pubblico”.
Le manifestazioni – “illegali” secondo il governo – si muovono sulle piazze sotto il nome di “Occupy Central with Love and Peace”, e a guidarle sono i nascenti movimenti studenteschi. Uno dei leader, Joshua Wong, ha trascorso due giorni in prigione e poi è stato rilasciato. Secondo le autorità, le persone arrestate fin’ora sono 78 e le contestazioni continuano a diffondersi in molte aree della città: dalla penisola di Kowloon al quartiere commerciale di Causeway Bay, la grande sommossa è arrivata anche a Taiwan, dove centinaia di manifestanti sono scesi sulle strade per solidarietà, chiedendo pacificamente di interrompere immediatamente gli accordi economici e i contatti diplomatici con la Cina.