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Il dramma dei disabili coreani nelle miniere di sale

Corea del sud: lontano dalla scintillante capitale Seoul fatta di acciaio e vetro, la schiavitù dei disabili, impiegati nelle miniere di sale, un segreto che tutti conoscono. La contea Sinan, composta da decine di isolette, è incentrata sulla produzione del minerale. Per spaccarlo nelle saline, da anni va avanti un traffico di esseri umani che vengono impiegati come schiavi fino a che scappano o muoiono, con la connivenza delle autorità locali e l’indifferenza del governo centrale ne mantengono lo status suo. Kim, schiavo dell’industria del sale, descrive il suo “lavoro” con parole semplici: “Un inferno in terra”.

L’uomo, quasi completamente cieco e con la coscienza sociale di n bambino, racconta la sua storia parlando con l’Associated Press dopo una denuncia pubblica che ha sconvolto avvocati, polizia e funzionari del governo. Nato povero e disabile, era senza fissa dimora da più di dieci anni. La notte del 4 luglio 2012 viene organizzato il trasferimento nelle saline: uno sconosciuto lo nota mentre stava dormendo su un treno nella stazione di Seoul, gli offre allora un pasto e una notte in casa, parlandogli di una grande opportunità lavorativa. Il mattino dopo partono così per l’isola di Sinui, dove il nuovo padrone paga 700 dollari all’uomo che l’ha condotto lì. Kim dovrà lavorare gratis “fino a pagare questo debito”, che non ha contratto né tantomeno voluto. Nei mesi seguenti ha subito percosse e violenze continue, turni di lavoro di 18 ore non retribuite, finchè un giorno decide di scrivere all’ anziana madre che vive a Seoul. Riesce ad imbucare la lettera grazie a un francobollo che un altro schiavo “venduto” ad una nuova fabbrica gli aveva lasciato.

La madre mostra la lettera a Seo Je-gong, capitano distrettuale di polizia. L’uomo è a conoscenza della complicità dei funzionari locali con le forze di sicurezza e porta la sua squadra sull’isola fingendosi turisti. Il blitz alla salina ha avuto successo e oggi Kim vive con la madre e un indennizzo, ma di notte ha gli incubi e deve prendere molti medicinali per le ferite riportate. Non riesce neanche a mangiare bene: “Se sento qualcosa di salato, stringo i denti fino a che non si scheggiano”.

Ma, nell’ultimo decennio, da qui sono partite cinque denunce in totale per schiavitù. A finire in ceppi sono i disabili come Kim, che non hanno modo di ribellarsi. Il lavoro è semplice ma massacrante. E lo “scandalo” provocato dalle denunce è sempre finito in un nulla di fatto, sotto inchiesta sono finiti circa 50 fra proprietari e “caporali” del lavoro, ma nessun poliziotto o pubblico ufficiale, e secondo le impressioni generali, nessuno sarà punito sul serio. Lo stesso “padrone” di Kim, Hong Jeong-gi, è stato condannato a tre anni di carcere e si prepara per l’appello che, secondo il suo avvocato, dimezzerà la sentenza. L’uomo è stato ritenuto colpevole di tratta di esseri umani; riduzione in schiavitù; mancato pagamento dei salari; mutilazioni; percosse.

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