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I curdi del Pkk alla Turchia: “Nessun disarmo senza un accordo”

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Camil Bayik, uno dei leader del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) ha riferito che i ribelli non deporranno le armi fino a quando Ankara non avrà trovato una soluzione politica al conflitto che da trent’anni vede i curdi combattere contro la Turchia per ottenere l’indipendenza. Nei giorni scorsi Abdullah Ocalan, ex capo carismatico del Pkk, imprigionato su un’isola del mar di Marmara, aveva chiesto ai suoi uomini di riunirsi in un congresso in primavera per decidere il passo storico di lasciare la lotta armata per quella politica.

Il governo turco però ha risposto con determinazione precisando che i ribelli dovranno deporre ogni strumento militare, fase dopo la quale potrà essere definito un accordo sulla base di 10 punti proposti dal detenuto Ocalan. In trent’anni di conflitto il bilancio delle vittime è di circa 40 mila persone, per lo più curdi. Secondo la stampa turca Ocalan dovrebbe nuovamente parlare al suo partito il 21 marzo per chiedere un tempo di pace in occasione del Nevruz, il tradizionale anno nuovo celebrato dai curdi ma anche da molte altre popolazioni. Il dirigente attuale del Pkk, Bayik, ha però rilevato che “queste cose funzionano allo stesso modo in tutto il mondo: prima una soluzione, poi il disarmo”.

L’abbandono delle armi però dovrebbe interessare solo i ribelli che si trovano in territorio turco in quanto i curdi che si trovano attualmente in Siria e in Iraq sono in prima fila per combattere l’avanzata del Califfato. Ne è un esempio la città di Kobane che dopo mesi di assedio è stata riconquistata dall’esercito curdo difendendo così i valori di libertà e indipendenza e mostrando che una resistenza all’Isis è possibile.

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