Alle ore 8.15 del mattino (ora locale), i rintocchi della campana nel parco del Memoriale della Pace di Hiroshima hanno scandito il minuto di raccoglimento per rammentare il bombardamento della città avvenuto 74 anni fa. Il 4 agosto 1945, infatti, l'aereo Enola Gay dell'aviazione statunitense, sganciò un'ordigno atomico sulla città, causando la morte di 140.000 persone. A distanza di oltre sette decenni da quell'evento che sancì sì la fine del secondo conflitto mondiale, ma anche l'inizio di una presa di consapevolezza della barbarie umana, la cerimonia è stata l'occasione per sondare il ricordo e, nel ricordo, riflettere sulle coordinate future.
Adesione al Trattato
Per questo alla cerimonia, a cui hanno preso parte i rappresentanti di novanta Paesi, inclusi gli Stati Uniti, il sindaco di Hiroshima, Kazumi Matsui, ha invitato il Trono del crisantemo ad aderire al Trattato sulla proibizione delle armi nucleari, approvato dalle Nazioni Unite col sostegno di 122 Paesi nel luglio 2017. Nel suo discorso, il primo ministro giapponese, Shinzo Abe, ha evitato di rispondere direttamente all'appello sebbene abbia menzionato di voler percorrere tale direzione. Per scongiurare la minaccia di un conflitto nucleare è, tuttavia, necessario l'impegno di altri Paesi: nonstante il Trattato sul nucleare sia stato approntato nel 1996, manca la ratifica di tutti i Paesi: alcuni Stati, definiti “di soglia”, come la Corea del Nord, non sono intenzionati a farlo.
L'appello della Chiesa
Circa dieci giorni fa, è arrivato anche l'apello di mons. Mitsuaki Takami, arcivescovo di Nagasaki – la seconda città colpita dalla bomba atomica il 6 agosto 1945 – e presidente della Conferenza episcopale del Giappone, il quale, in una lettera, ha ricordato che “le minacce nucleari non possono rispondere efficacemtne a tali problemi. La stabilità basata sulla paura aumenta semplicemente la paura e compromette la fiducia nelle relazioni tra le nazioni. In tal caso, dobbiamo chiederci come può essere mantenuta la stabilità”. Cogliendo i timori generati dalle ripetute minacce fra Paesi, i prelati nipponici hnno ricordato che “La pace deve essere costruita sulla giustizia, sullo sviluppo umano integrale, sul rispetto dei diritti umani fondamentali, sulla protezione del Creato, sulla partecipazione di tutti alla vita pubblica, sulla fiducia tra i popoli, sul sostegno delle istituzioni pacifiche, sull'accesso all'educazione e alla salute, sul dialogo e sulla solidarietà” e non può essere basata “su un falso senso di sicurezza, sulla minaccia di distruzione reciproca o di annientamento totale, o semplicemente sul mantenimento di un equilibrio di potere”. La nota firmata da mons. Takami s'innesta nel timore, espresso dallo stesso Papa, di un conflitto nucleare. In occasione del viaggio papale in Giappone, previsto il prossimo novembre, è probabile che il Pontefice visiterà anche il memoriale di Hiroshima, a memoria della devastazione generata sull'uomo e il creato dalla sconsiderata azione umana. Sensibile al tema, nel gennaio 2018, sull'aereo diretto in Cile e Perù, Papa Francesco distribuì ai giornalisti una foto scattata a Nagasaki nei giorni susseguenti l’esplosione dell'ordigno atomico, che ritraeva un bambino scampato all’olocausto nucleare mentre sorreggeva il corpo senza vita del fratellino. Il Pontefice vi fece apporre il commento “…il frutto della guerra“, autografandolo in calce. Allora dichiarò di essere rimasto completamente colpito dalla foto tanto da volerla condividere “perché commuove più di mille parole“.