Né Belgrado né Zagabria sono da considerare responsabili di genocidio per le violenze commesse durante le guerre repubblicane dell’ex Jugoslavia. La loro responsabilità è circoscritta al fatto di non averlo impedito. È questo il verdetto della Corte Internazionale di Giustizia atteso da ben 16 anni. Nel corso di una pubblica udienza all’Aja Peter Tomka, presidente della massima istanza Onu, magistrato e diplomatico, ha osservato che le parti avrebbero commesso sicuramente atrocità, ma non sono riscontrabili gli estremi di genocidio.
La disputa era stata avviata nel 1999 dalla Croazia che aveva denunciato la violazione da parte serba della Convenzione sul Genocidio del 1948 durante l’occupazione della Krajina. Ma l’anno seguente era partita la contro-denuncia serba, accusando la Croazia dello stesso crimine nella controffensiva chiamata in codice “Operazione Tempesta”. Entrambe le richieste dei paesi reclamavano inoltre enormi indennizzi finanziari. L’unica pronuncia di tale livello che finora abbia individuato un reale genocidio resta quindi quella del massacro di Srebrenica del 95 in Bosnia, emessa dal Tribunale Penale Internazionale Onu ad hoc.
Dopo il verdetto, reazioni di circostanza all’Aja: i commenti ufficiali di entrambi i paesi sono improntati alla necessità di voltare pagina e all’auspicio che questa pronuncia possa segnare uno spartiacque nei rapporti bilaterali. Meno diplomatici i commenti a Zagabria, dove il premier croato Zoran Milanovic si è dichiarato scontento della decisione della Corte, ma “l’accettiamo in maniera civile – ha tagliato corto – la dobbiamo accettare perché non c’è più possibilità di presentare appello”. Anche se non c’è stata nessuna stretta di mano o simili, la speranza più grande è comunque quella che si sia conclusa una pagina che riguarda il passato e possa lasciare spazio ad un futuro migliore e più luminoso.