Il maxi processo per il tentato golpe in Turchia è iniziato nell’aula bunker della prigione di Sincan, ad Ankara. Sul banco degli imputati 221 persone, tra cui molti militari di alto rango. I sospetti, che avrebbero compiuto i blitz nella sede dello Stato maggiore, sono accusati di far parte della presunta rete golpista di Fethullah Gulen.
Alla sbarra ci sono tra gli altri un generale a 4 stelle, 3 luogotenenti generali, 4 maggiori generali e 16 brigadieri generali. Davanti ai giudici comparirà anche Ali Yazici, ex consigliere militare del presidente Recep Tayyip Erdogan. Tra gli imputati, 200 sono attualmente detenuti, 9 sono stati rilasciati in attesa di giudizio e 12 risultano latitanti, incluso Gulen. Per loro, le accuse vanno dall‘eversione all’organizzazione terroristica al tentativo di uccidere il presidente. Almeno 38 rischiano ergastoli multipli. La prima fase del processo, che si svolge tra imponenti misure di sicurezza con 1.200 agenti schierati, andrà avanti fino al 16 giugno.
Amnesty International punta intanto il dito contro la Turchia per le purghe di massa “arbitrarie” In un rapporto l’ong per i diritti umani denuncia numerose violazioni legate alle epurazioni di oltre 100 mila dipendenti pubblici con decreti dello stato d’emergenza, tra cui almeno 37 mila membri di polizia, esercito e magistratura.
In particolare, Amnesty accusa Ankara di aver deciso i licenziamenti e le sospensioni in modo arbitrario, senza prove sufficienti e senza motivazioni individuali. Secondo l’ong, per essere considerati legati alla presunta rete golpista di Fethullah Gulen, e quindi licenziati o sospesi, è bastata l’apertura di un conto nell’istituto di credito “gulenista” Bank Asya o l’annullamento dell’abbonamento alla tv satellitare Digiturk dopo la sospensione, nell’ottobre 2015, dei programmi legati a Gulen.
Nel rapporto, basato su 61 interviste e incontri con le autorità di Ankara, si sottolinea inoltre l’assenza di efficaci strumenti giudiziari di appello contro le purghe. Una commissione nominata ad hoc non ha ancora iniziato a esaminare i ricorsi. Secondo l’ong, gli epurati si trovano di fronte a un “futuro negato“, privati dei loro passaporti e senza possibilità reali di trovare un nuovo impiego in Turchia “a causa dello stigma di essere definiti terroristi”.