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Gli Stati uniti per il dialogo in Libia

Profonda preoccupazione” è lo stato che hanno espresso alcuni governi del Vecchio Continente e i Paesi del Golfo davanti alle ostilità senza fine tra le due parti belligeranti in Libia. Ieri, attraverso un comunicato congiunto, Italia, Francia, Regno Unito, Egitto, Emirati e Stati Uniti hanno chiesto una cessazione delle ostilità immediata: condizione necessaria per poter ritornare a un processo politico mediato dalle Nazioni Unite, perché la situazione di Tripoli attualmente non favorisce una “soluzione militare”.

I due blocchi

Con il documento congiunto si è delineato un asse coinvolto profondamente nella crisi. Tra i sottoscriventi, vi sono tre membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che avevano già ricevuto in due occasioni l'inivato speciale delle Nazioni Unite per la Libia, Ghassan Salamé. Mancano all'appello Turchia Qatar, Paesi leader della Fratellanza musulmana e sostenitoroi del Consiglio presidenziale del Governo di accordo nazionale, l'organo esecutivo con sede a Tripoli riconosciuto dall'Onu e guidato dal premier Fayez al Sarraj. Viceversa, Paesi mediorientali come gli Emirati Arabi Uniti e l'Egitto sostengolo l'uomo forte della Cirenaica, il generale Khalifa Haftar, attualmente a capo dell'Esercito nazionale libico che opera in Tripolitania. 

Ostilità senza fine

Secondo l'ultimo bilancio stilato dall'Organizzazione Mondiale per la Sanità, sarebbero almeno 1.093 morti – tra cui106 civili -, 5.752 feriti – di cui 294 civili – e oltre 100.000 sfollati le vittime degli scontri nelle aree limitrofe a Tripoli. Da ciò, gli appelli della Comunità internazionale affinché cessino le ostilità. Secondo quanto riferiscono i media locali, in queste ora la zona più martoriata dai combattimenti è Al Zatarna, non lontano dalla capitale. In questi scontri entrambe le parti belligeranti dispiegano armi pesanti e questo aumenta la possibilità di colpire i civili. Oggi le emittenti di Bengasi e i media emiratini riferiscono di un’imminente offensiva “su vasta portata” da parte delle forze dell’Esercito nazionale libico, che avrebbe spinto le milizie di Misurata  a ritirarsi davanti all'offensiva prospettata dalle forze fedeli ad Haftar, lasciando, così, diverse zone della periferia di Tripoli sguarnite. 

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Sulla via di uno sblocco

Per le Nazioni Unite, le violenze continue hanno generato una situazione critica e stazionaria, dove a pagarne le spese sono soprattutto i civili. Per questo, gli Stati puntano a sbloccare quest'impasse militare attaverso la diplomazia di Salamé. Ieri, il diplomatico libanese è stato ricevuto dal capo della diplomazia di Abu Dhabi, lo sceicco Abdullah bin Zayed, per discutere sulle modalità atte a porre fine ai combattimenti in corso e “ritornare al processo politico”. Ciò che ha spinto i Paesi ad agire all'unisono è il persante bilacnio delle vittime coinvolte negli attacchi delle settimane scorse. Il ministro di Stato degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti, Anwar Gargash, ha dichiarato in un commento online: “La nota di ieri dei sei Stati sulla Libia per chiedere la fine immediata delle ostilità nella capitale libica di Tripoli rappresenta la volontà della comunità internazionale e l'importanza di tornare di nuovo in pista, politicamente”. In questo modo, i Paesi vogliono mettere in guardia dal rischio di un vuoto politico che potrebbe essere occupato da gruppi terroristici. Per Gargash, tale presa di posizione “è importante per il bene della pace e della stabilità”.

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