Primo stop al controverso divieto di ingresso dei cittadini di sette paesi a maggioranza musulmana (Iran, Iraq, Siria, Yemen, Somalia, Libia e Sudan) negli Stati Uniti emesso dall’amministrazione Trump lo scorso 27 gennaio. E’ stato il giudice federale di Seattle, James Robart, nominato dal repubblicano George W. Bush, a considerare fondata l’opposizione al bando presentata dallo Stato di Washington, al quale si era unito il Minnesota, per gli effetti discriminatori e il danno significativo che la decisione procurava ai residenti. Il magistrato ha quindi emesso un’ingiunzione restrittiva temporanea, valida su tutto il territorio nazionale, basata anche sulla possibilità che alcuni elementi del provvedimento siano incostituzionali, motivazioni che negli ultimi giorni avevano spinto altri Stati, tra cui le Hawaii, a presentare ricorsi analoghi.
Il visto negato al luminare
Secondo i media americani, sarebbero già 100.000 le persone che si sono viste negare l’ingresso negli Stati Uniti, mentre il Dipartimento di Stato parla di meno di 60.000. Ma ci sono storie paradossali, come quella, che In Terris ha raccolto in esclusiva, di un noto luminare inglese, professore emerito di endocrinologia all’Università di Manchester, conosciuto e stimato in tutto il mondo. Il medico si è visto negare il visto di ingresso per motivi turistici solo perché a gennaio era stato per una settimana nel Kurdistan iracheno come docente per aggiornare un centinaio di colleghi diabetologi di quella martoriata area geografica. Tra l’altro, il professore è di religione ebraica e quindi non può certo essere considerato un sostenitore dell’Isis o di al Qaeda. E proprio la “rete del terrore” ha definito Trump “un incosciente” che con le sue azioni (tra cui il raid nello Yemen in cui sono morti diversi civili) “ha riacceso la fiamma della jihad”.
Le reazioni
Il vice procuratore generale dello Stato di Washington, Noah Purcell, ha dichiarato che si tratta di “un grande giorno per lo stato di diritto in questo paese”. Ancora più drastico il governatore Jay Inslee: “Nessuno – ha affermato – neppure il presidente, è al di sopra della legge“.
Casa Bianca furiosa
Ma Trump, ovviamente, non si dà per vinto. In una nota della Casa Bianca si annuncia un ricorso di emergenza da parte del dipartimento di Giustizia contro la decisione del giudice, in un primo momento definita “scandalosa” (aggettivo poi rimosso…) perché “siamo convinti che il decreto è legale e appropriato”. Il provvedimento era stato motivato con la necessità di garantire la sicurezza nazionale, impedendo l’ingresso negli Stati Uniti di terroristi o potenziali tali, e aveva sospeso per quattro mesi l’ingresso negli Usa di rifugiati, divieto emesso a tempo indeterminato nei confronti dei profughi siriani. Il giudice Robart è stato di parere opposto: il provvedimento di Trump sarebbe stato costituzionale, a suo avviso, in presenza di attacchi condotti da cittadini provenienti dai sette paesi oggetto del bando. E’ probabile che dopo il ricorso dell’amministrazione la battaglia legale giunga fino alla Corte Suprema ma per il momento il decreto è di fatto bloccato.
Colloquio con Palazzo Chigi
Intanto fonti della Casa Bianca hanno fatto sapere che oggi, nella serata italiana, è previsto un colloquio telefonico fra Donald Trump e il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni.