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Giallo al Baghdadi, l’intelligence russa non conferma la morte del Califfo

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Serghiei Narishkin, capo del servizio di intelligence esterna della Russia (Svr), non conferma la morte del leader dei terroristi dell’Isis, Abu Bakr al Baghdadi. “No, non ho informazioni aggiuntive rispetto a quelle già presenti sui media”, ha detto all’agenzia Interfax. A giugno Mosca affermava di avere probabilmente ucciso il capo del sedicente Stato islamico il 28 maggio in un raid a sud di Raqqa, in Siria, ma aggiungeva di non potere fornire prove sicure.

In seguito la tv irachena Al Sumariya aveva confermato la morte del Califfo, citando una fonte molto vicina al sedicente Stato Islamico. Lo stesso Osservatorio siriano per i diritti umani sosteneva di aver avuto da dirigenti del Daesh “informazioni confermate” sulla morte di al Baghdadi. Era stato anche citato un presunto comunicato nel quale le milizie dell’Isis venivano invitato a “proseguire la jihad“. Infine era stato individuato in Jalaluddin al-Tunisi, attuale leader del gruppo terroristico in Libia. Dopo qualche giorno, però, due autorevoli e distinte fonti dell’intelligence irachena avevano smentito la notizia, sostenendo che il Califfo fosse ancora vivo, ben nascosto nella regione di Raqqa.

Già il 10 novembre 2014, quando  aveva da pochi mesi annunciato la nascita del Califfato, il ministero dell’Interno iracheno affermò che il leader jihadista era rimasto ferito in un raid aereo iracheno ad Al Qaim, nella provincia occidentale di Al Anbar, mentre l’allora ministro degli Esteri iracheno, Ibrahim al Jaafari, si spinse a scrivere su Twitter che Baghdadi era rimasto ucciso. Il giorno dopo, l’11 novembre, alcuni abitanti di Mosul dichiararono al quotidiano egiziano al Ahram che il capo dell’Isis era invece stato colpito alla testadai raid Usa nella regione tra Iraq e Siria, e che era morto poche ore dopo. Il Pentagono aveva in effetti confermato di aver distrutto un convoglio di leader del Daesh vicino a Mosul, ma senza poter confermare quale fosse la sorte di Baghdadi.

Solo sei mesi dopo, nell’aprile del 2015, un nuovo annuncio fu diffuso da alcuni media iraniani e iracheni e ripreso da siti online panarabi di scarsa autorevolezza: secondo l’informazione di non meglio precisate fonti di intelligence irachene – anche questa rimasta senza conferme -, Baghdadi era morto in un ospedale israeliano sulle Alture del Golan al confine con la Siria, dopo essere rimasto ferito in un raid aereo il 18 marzo. Sempre nel 2015, ancora il governo iracheno rese noto che il “Califfo” era rimasto coinvolto in un raid dell’aviazione di Baghdad nell’ovest del Paese e che era stato “portato via d’urgenza”, ma senza saper precisare se fosse rimasto ferito. Il giorno dopo, il 12 ottobre, fonti mediche locali riferirono che Baghdadi non risultava né tra i feriti né tra i morti dell’operazione. Un anno fa, nel giugno 2016, una tv irachena rese noto che Baghdadi era stato ferito in un raid della Coalizione a guida Usa, nella provincia di Ninive, a ovest di Mosul. Ma Washington non confermò nemmeno questa informazione.

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