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“Gaza: ecco perché c'è il rischio di una nuova guerra”

La già traballante pace in Terra Santa rischia di soccombere sotto i colpi degli ultimi significativi avvenimenti. L’inaugurazione dell’ambasciata statunitense a Gerusalemme, la commemorazione palestinese della nakba, ossia la catastrofe, come chiamano la nascita dello Stato d’Israele, hanno reso incandescente il clima.

Il bollettino delle vittime e dei feriti al confine tra la Striscia di Gaza e Israele continua a salire di ora in ora. E il timore è che la situazione possa deflagrare in una nuova operazione militare dello Stato ebraico sulla Striscia, come già avvenuto a cavallo tra il 2008 e il 2009 e nell’estate 2014. Un timore condiviso da due giornalisti, soci dell’Associazione Stampa Estera di Roma, l’uno israeliano e l’altro palestinese. In Terris li ha intervistati per chiedere loro una lettura di quanto sta avvenendo. Jamal Jadallah scrive dall’Italia per il quotidiano palestinese Al-Quds e per l’agenzia di stampa Wafa, mentre Yossi Bar è corrispondente della radio pubblica israeliana e del quotidiano Maariv.

Cosa pensa dell’atto di forza compiuto dal presidente Trump di spostare l’ambasciata statunitense in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme?

Jadallah: “La mia risposta risiede nelle proteste del popolo palestinese. Gli Stati Uniti da sempre hanno finanziato gli insediamenti israeliani e ora, come ha giustamente dichiarato dal presidente Abu Mazen, non hanno aperto un’ambasciata a Gerusalemme, ma hanno stabilito un nuovo, simbolico insediamento. Secondo le leggi internazionali, le Nazioni Unite e la gran parte dei Paesi occidentali democratici, Gerusalemme deve essere capitale dei due Stati e su questo principio si basa il processo di pace. Dunque qualsiasi atto unilaterale è illegittimo, specie se proviene da parte di chi dovrebbe avere il ruolo di mediatore, ossia gli Stati Uniti”.

Bar: “Si tratta di una scelta coraggiosa. Se lo guardiamo da un punto di vista generale è sicuramente un fatto storico. In concreto, tuttavia, cambia poco o nulla, visto che tutte le ambasciate in Israele, da sempre, hanno consolati e uffici a Gerusalemme. C'è poi un'altra cosa da considerare: Trump ha sì spostato la rappresentanza diplomatica Usa ma non è intervenuto sulla questione dei confini della capitale. Quindi non è detto che sia d'accordo con una nostra espansione a Gerusalemme est. Non solo: con Trump esiste un tacito accordo per evitare nuovi insediamenti in Cisgiordania. Di sicuro una mossa unilaterale, come quella del presidente americano, non favorisce la pace. Detto questo i fatti di Gaza non sono la conseguenza dello spostamento dell'ambasciata ma della tragedia di 3 milioni di persone costrette a vivere sotto la dittatura di Hamas, che le obbliga a manifestare”.  

Su questa crisi incide anche il contesto geopolitico? Penso alla crisi sul nucleare tra Stati Uniti e Iran…

Jadallah: “Assolutamente no. Noi palestinesi, per inciso, siamo contro le armi nucleari, che siano in possesso dell’Iran o di Israele non cambia nulla. L’unica certezza, nel contesto geopolitico attuale, è che la politica estera statunitense non rispetta il diritto e la legalità internazionali”.

Bar: “Non credo. Quella di Gaza è un'azione pianificata da mesi da parte di Hamas per ottenere visibilità internazionale, cosa puntualmente avvenuta. Del resto quando muoiono 61 civili e centinaia sono feriti è difficile sostenere di avere ragione. Anche se bisognerebbe capire che queste persone sono prigionieri deliberatamente mandati al macello di Hamas, che se ne frega della vita umana. Altrimenti avrebbero fatto di tutto per evitare che almeno i minori fossero in pericolo”. 

La rivalità tra Fatah e Hamas può aver contribuito ad alzare la tensione sulla Striscia?

Jadallah: “Se così fosse, le manifestazioni si verificherebbero soltanto sulla Striscia (governata da Hamas, ndr). E invece stanno avvenendo anche in Cisgiordania (governata da Fatah, ndr). È chiaro che le tensioni nella Striscia di Gaza hanno maggiore eco mediatica, perché ci sono state molte vittime e la zona si trova sotto embargo da parte di Israele. Tutto il popolo palestinese proclama il diritto a tornare ad essere libero nella sua patria; un diritto che viene negato dal 1917, dalla dichiarazione Balfour con cui la Gran Bretagna, che occupava la nostra terra, gettò le basi per la nascita dello Stato ebraico”.

Bar: “Non credo, perché le persone che vivono al di fuori della Striscia di Gaza hanno molta paura di Hamas. E questa è anche la ragione per cui le due forze non riescono a mettersi d'accordo sulle elezioni palestinesi. Del resto Hamas è un'organizzazione che persegue l'obiettivo di occupare l'intero Stato di Israele, di cacciare i suoi abitanti o di costringerli a vivere sotto il loro dominio. La mia speranza, tuttavia, è che un giorno anche loro possano essere coinvolti in trattative per arrivare a un'intesa. Ipotesi oggi resa difficile dal duro approccio del governo Netanyahu, non solo nei confronti di Hamas ma anche dei palestinesi moderati. Spetta alla comunità internazionale mettere tutti attorno a un tavolo perché questa situazione si trascina da troppi anni senza alcun risultato”.  

È vero che Hamas sta usando scudi umani, come ritengono le autorità israeliane?

Jadallah: “Chi formula simili accuse sta assediando Gaza con un embargo: chiaramente utilizza ogni tipo di diffamazione pur di giustificare un simile crimine. Israele ha sempre agito in questo”.

Bar: “Certamente. A Gaza è tutto sotto il controllo della dirigenza di Hamas. Si tratta di una vera e propria dittatura. C'è chi li chiama scudi umani, chi prigionieri. Se viene loro ordinato qualcosa lo fanno o vengono ammazzati. Chi altrimenti porterebbe bambini (persino neonati) alle manifestazioni, col rischio di essere uccisi dai soldati israeliani?”. 

C’è il rischio di una nuova operazione militare israeliana sulla Striscia, come avvenuto nel 2008 e nel 2014?

Jadallah: “Certo che c’è il rischio, ed è molto forte. Del resto l’attuale governo israeliano è alleato della destra integralista, che ha la pretesa di cacciare tutti i palestinesi dalla Palestina”.

Bar: “Il rischio c'è. Lunedì Israele ha bombardato le postazioni di Hamas nella Striscia. Basta una piccola miccia per scatenare una nuova guerra”.

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