In molti discutono in queste ore sulla natura dell’Isis ma pochi si chiedono come abbia fatto a carpire il consenso della popolazione di tante aree geografiche del Medio Oriente. Dietro la fama di tagliagole e propugnatori della jihad c’è molto di più: un movimento che si propone di riportare l’ordine in regioni scosse dalla guerra, attraverso l’applicazione della severa legge islamica. Prospettiva che a noi fa drizzare i capelli in testa ma che attrae uomini e donne disperati da tanti anni di conflitti, dalla crescente criminalità, dal potere dei capi bastone locali. E spesso i metodi usati dagli eserciti regolari per sradicare il Califfato non fa che accrescerne la popolarità.
Ad esempio i militari iracheni in questi giorni hanno saccheggiato, bruciato e distrutto case e interi villaggi liberati lo scorso anno dallo Stato Islamico nelle province di Salaheddin e Kirkuk, nel nord del Paese che fu di Saddam Hussein. La denuncia è arrivata da Human Right Watch e conferma la più atroce e scomoda delle verità: la guerra non fa sconti a nessuno, indipendentemente da chi la fa. “In seguito alle operazioni per mettere fine all’assedio di Amerli – si legge nel comunicato dell’Osservatorio Onu sui diritti umani – milizie pro governative e combattenti volontari, così come le forze della sicurezza irachena, hanno razziato villaggi sunniti e quartieri intorno ad Amerli”.
Nei raid i miliziani, i volontari e le forze di sicurezza locali hanno preso possesso di proprietà dei civili fuggiti dopo l’assalto alla città. Hanno appiccato il fuoco a case e ad attività imprenditoriali dei sunniti. Giorni fa i curdi avevano manifestato preoccupazione per l’impazzare nel paese di milizie sciite appoggiate dall’Iran, che combattono contro i jihadisti. In un’intervista alla Bbc, il capo dell’intelligence curda, Masrour Barzani, aveva affermato che queste milizie potrebbero rappresentare un “problema anche maggiore dell’Is”, perché potrebbero esasperare le tensioni tra sciiti e sunniti.