La Turchia proseguirà i suoi sforzi per far luce sull'omicidio di Khashoggi“. E' questo il titolo dell'editoriale firmato dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan e pubblicato sul Washington Post alla vigilia dell'annioversario dell'uccisione del reporte saudita nel consolato di Riad a Istanbul, avvenuta il 2 ottobre 2018.
Le parole di Erdogan
“L'assassinio dell'editorialista del Post Jamal Khashoggi è stato probabilmente l'episodio più influente e controverso del XXI secolo, a parte gli attacchi dell'11 settembre. Nessun altro evento dall'11 settembre – scrive il presidente turco – ha posto una simile seria minaccia allordine internazionale o ha messo in dubbio le convenzioni che il mondo dava per scontate. Eppure il fatto che un anno dopo la comunità internazionale sappaia ancora molto poco di ciò che è accaduto è un serio motivo di preoccupazione”. Erdogan, nel suo editoriale, ha spiegato che la Turchia continua a vedere il Regno come “amico e alleato”. “La mia amministrazione ha quindi fatto una chiara distinzione tra i criminali che hanno ucciso Khashoggi e il re Salman e i suoi leali sostenitori”, ha aggiunto, spiegando che è questo il motivo per cui Ankara ha trattato il problema come “una questione di giustizia e non di politica”. “L'assassinio di Khashoggi è stata una tragedia ma anche uno spudorato abuso dell'immunità diplomatica, ha sottolineato il presidente turco, ricordando la richiesta di estradizione dei presunti killer da parte di Ankara e ha denunciato la “mancanza di trasparenza” nella conduzione del procedimento penale in corso a Riad. “Continueremo a fare le stesse domande che ho sollevato in un editoriale su questo giornale lo scorso anno: dove sono i resti di Khashoggi, Chi ha firmato il mandato di esecuzione del giornalista saudita? Chi ha inviato a Istanbul su aerei i 15 assassini, incluso un esperto forense?”.
Il caso Khashoggi
Il 4 ottobre 2018 scatta l'allarme: la Turkish-Arab Media Association fa sapere che non si hanno più notizie dell'opinionista del Washington Post Jamal Khashoggi. Secondo un funzionario del consolato saudita il giornalista sarebbe sì entrato nell'edificio, ma poi se ne sarebbe andato. Dopo quasi un mese dalla sua scomparsa, la richiesta da parte dell'Onu di avviare un'indagine, un funzionario turco avrebbe rivelato al Washington Post che il giornalista saudita sarebbe stato sciolto nell'acido e i suoi resti sparsi nelle vicinanze del consolato saudita. Le indagini porteranno le autorità locali a sospettare di 11 persone, per cinque delle quali, il procuratore generale del regno ha chiesto la pena di morte.