“Con il presidente Obama avevamo un accordo sul Pkk, ma Obama ci ha ingannati. Non credo che l’amministrazione Trump farà lo stesso”. In un’intervista esclusiva rilasciata alla tv panaraba al Jazeera, Recep Tayyip Erdogan lamenta la scarsa collaborazione da parte dell’ex presidente Usa nella lotta agli estremisti del partito curdo dei collaboratori. Nella stessa occasione il leader di Ankara ha espresso l’auspicio che con il cambio di guida alla Casa Bianca le cose possano cambiare.
Sia gli Stati Uniti, sia la Turchia considerano il Pkk come una organizzazione terroristica. Inoltre Ankara ritiene le Unità di protezione del popolo curdo siriano Ypg e il suo braccio politico Pyd come cellule del Pkk in Siria, mentre Washington collabora con i curdi siriani nella lotta contro il sedicente Stato Islamico.
Il Paese anatolico è membro della Nato e ha giocato un ruolo strategico durante gli anni della Guerra Fredda, come, ad esempio, nella gestione della crisi missilistica di Cuba, quando la rimozione dei razzi sovietici dall’isola caraibica fu barattata con il progressivo smantellamento del sistema di missili Jupiter piazzati dagli Stati Uniti in Turchia. Non solo: Ankara è anche il membro dell’Alleanza Atlantica con il dispiegamento militare più grande dopo quello americano.
Negli ultimi anni, in particolare durante l’amministrazione Obama, i rapporti sono però entrati in crisi, avvicinando pericolosamente il Paese di Erdogan alla Russia di Vladimir Putin. Oltre al sostegno delle milizie curde in Siria (vicine allo stesso Pkk), il “Sultano” non ha perdonato all’amministrazione democratica Usa l’atteggiamento ambiguo adottato durante il fallito golpe del 15 luglio 2016. In quella occasione Obama si schierò apertamente con il suo alleato solo quando era chiaro che il colpo di Stato non sarebbe andato a buon fine. Questo ha radicato nel governo di Ankara il sospetto che il tentativo di sovvertimento del potere in Turchia fosse avvenuto col bene placito – se non addirittura con la collaborazione – di Washington. Sospetto acuito dal fatto che gli Stati Uniti continuano a negare l’estradizione di Fetullah Gulen, l’imam milionario considerato da Erdogan l’ideatore di una vera e propria rete golpista.