Nuova atrocità dell’Isis in Iraq. Secondo quanto riportato dalla polizia di Kirkuk un’intera famiglia e altri civili iracheni (per un totale di 12 persone) sarebbero stati bruciati vivi dagli uomini del Califfato dopo essere stati rinchiusi in una gabbia. Le vittime di questa ennesima barbarie perpetrata dal Daesh sarebbero state catturate dai miliziani mentre cercavano di fuggire da Huwayja, sacca di resistenza jihadista tra Kirkuk e il Tigri. Le informazioni e la ricostruzione degli eventi non possono, però, essere verificati in maniera indipendente.
Di certo, al momento, c’è solo il fatto che atrocità come queste rappresentano il colpo di coda di un gruppo terroristico che sta per subire una sconfitta decisiva a Mosul, città simbolo della sua ascesa. Un ritorsione operata nei confronti della popolazione civile, già stremata dopo 4 anni di occupazione.
La parabola del Daesh inizia nell’aprile 2013, quando il sedicente Stato islamico dell’Iraq entra in Siria e dopo avere cambiato il suo nome in Stato islamico dell’Iraq e della Siria (Isis) e si impossessa di vasti territori, tra cui la città di Raqqa, che diviene la sua “capitale”siriana. Nel giugno 2014 alcune migliaia di jihadisti conquistano Mosul e Tikrit e Abu bakr Al Baghdadi proclama, dalla moschea di al Nuri, la nascita del Califfato. Nell’agosto dello stesso anno le milizie nere occupano la città di Sinjar, culla degli Yazidi, uccidendone migliaia e riducendo in schiavitù centinaia di donne. Cadono anche alcune città cristiane, tra cui Qaraqosh. A gennaio 2015 i peshmerga curdi, sostenuti dai raid della Coalizione voluta da Barack Obama, rompono l’assedio di Kobane, mentre a marzo le forze governative irachene riconquistano Tikrit. A ottobre 2016 Baghdad annuncia l’avvio dell’offensiva per riconquistare Mosul, oggi a un passo dalla conclusione vittoriosa. Nel frattempo in Siria, persa nuovamente Palmira, il Daesh è circondato a Raqqa, ultima roccaforte ancora in suo possesso.