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Elezioni in Olanda: trionfo dei liberali di Rutte, Wilders non sfonda

L’ondata populista s’infrange sull’Olanda. Il terzo exit poll conferma l’affermazione dei liberali del premier uscente Mark Rutte alle elezioni politiche. Dati che spingono lo stesso leader del partito di maggioranza relativa a dire: “E’ una serata importante per tutta l’Europa: l’Olanda ha detto no al populismo”. In effetti la sconfitta degli islamofobi ed eurocritici di Geert Wilders è certificata non solo dal numero di seggi ottenuti (al momento solo 19, contro i 31 dei liberali) ma anche dal dato dell’affluenza (all’82%) che non ha premiato i nazionalisti. “Che festa per la democrazia vedere tanti elettori alle urne per esprimere il voto, non succedeva da anni” ha commentato Rutte.

Il voto segna poi un boom verdi del GroenLinks ed il crollo dei laburisti della Pvda, che si riducono ad avere 9 seggi, ben 29 in meno rispetto a cinque anni fa. Gli elettori “ci hanno dato ancora fiducia”, hanno esultato i responsabili della campagna elettorale di Rutte. Ma anche Wilders ha voluto ringraziare i suoi: “Abbiamo guadagnato seggi, il primo obiettivo è raggiunto. E Rutte non si è sbarazzato di me“, ha twittato. Al risultato, che dimostra che la diga europea può tenere davanti allo tsunami del populismo nato dalla Brexit, rafforzato dall’elezione di Trump, sobillato da Putin e – nella sua versione più aggressiva – interpretato da Erdogan, si è arrivati con una campagna elettorale dominata dall’agenda di Wilders. “Comunque vada, il genio della lampada del populismo non potrà rientrare nella lanterna”, aveva infatti avvertito il platinato leader del Pvv davanti ai cameraman e ai fotografi di mezzo mondo, convocati per immortalare il suo voto alle 9 del mattino in una scuola della periferia occidentale dell’Aja.

Stesso slogan lanciato da Nigel Farage dopo la Brexit. Il 53enne di Venlo, con nonna indonesiana che vuole cacciare “la feccia marocchina” dal Paese, vive sotto scorta da oltre 10 anni. Per tentare l’assalto al governo ha presentato un programma di una sola pagina. “L’Olanda è la nostra terra“, il titolo di sapore trumpiano. Nei 12 punti: bando del Corano, chiusura delle moschee, chiusura delle frontiere, dei centri di asilo, uscita dalla Ue (quindi anche dall’euro), oltre a misure acchiappa-voti come la riduzione degli affitti e l’eliminazione degli eccessi della sanità pubblica. Ma proprio il primo mese del tycoon americano alla Casa Bianca (con cui si dice condivida finanziamenti da Israele e dalla destra ebraica americana) ha apparentemente gelato la maggioranza degli olandesi.

Ad uscire con le ossa rotte nello scontro tra il centrodestra europeista e il populismo di Wilders è stato comunque il Labour, il partito socialdemocratico del primo vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans e del presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem che aveva fatto coalizione a due con Rutte nel governo uscente che ha risanato l’economia del Paese. Il risultato di stasera “è un graffio sulla nostra anima”, ha commentato a caldo Sharon Dijksma, leader della campagna del partito. Successo storico invece per il partito ecologista GroenLinks guidato dal trentenne Jesse Klaver. Accreditato di 16 seggi, avrebbe quadruplicato il suo risultato rispetto a cinque anni fa e soprattutto – con i laburisti quasi annientati e con i socialisti radicali dello Sp a 14 – il partito dei Verdi sarebbe il primo partito della sinistra della storia della politica orange.

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