Uno stato di emergenza prolungato in tutti i penitenziari del Paese. Ad annunciarlo è stato lo stesso Presidente del Salvador, Nayib Bukele, che ravvisa nella misura estrema l'unico argine alle violenze perpetrate dalla criminalità organizzata: “Se smettete di uccidere, i vostri uomini torneranno a vedere la luce del sole, a fare attività formative, a fare sport” è stato l'appello di Bukele a margine della riunione di governo tenutasi ieri. Il presidente aveva varato il regime di emergenza lo scorso 20 giugno con l'imposizione di regole molto rigide sulla detenzione dei criminali ritenuti colpevoli di fatti di sangue: per alcuni di loro, infatti, è stato previsto il totale isolamento. Parallelamente alla misura restrittiva, il governo ha anche varato il Piano di controllo territoriale: una disposizione ritentua complementare, perché si occupa di elargire degli incentivi con l'obiettivo di creare un'alternativa alla vita criminale per molti affiliati per necessità.
Braccio di ferro con le maras
Da diversi anni, il governo del Salvador è impegnato alla lotta con le cosiddette maras, le bande criminali locali. Spesso, i facenti parte delle maras sono recidivi e reiterano i loro crimini non appena usciti dai centri penitenziari. Nella conferenza stampa, il presidente Bukele ha ricordato il caso di un detenuto che, nonostante fosse giunto a fine pena, è stato sorpreso con decine di pizzini ingeriti per trasmettere ordini alle organizzazioni criminali. A causa delle maras, dal 2015 il Salvador è il Paese con il più alto tasso di omicidi al mondo con una media di 103,6 omicidi per 100.000 abitanti. Le bande contano oltre 60.000 affiliati, che rappresentano il 9% della popolazione. Secondo i dati riportati dal settimanale Internazionale, nel 2016 nel Paese ci sono stati 5.278 omicidi, circa 18 al giorno. Dal 2013, per mano delle gang sono morti 692 lavoratori del trasporto pubblico e 93 poliziotti: numeri eloquenti, che rendono conto di un'escalation di violenza difficile da contenere. Il fenomeno è stato favorito dai rimpatri, effettuati dagli Stati Uniti negli anni Novanta, che hanno rimpolpato il sottobosco criminale del Salvador. Secondo i dati forniti dall'Agenzia per lo sviluppo internazionale degli Stati Uniti (Usaid), tra il 1998 e il 2005 si contano oltre 46.000 rimpatri. Nel Paese, dilaniato dalla guerra civile e sguarnito di riferimenti istituzionali, la bande criminali hanno trovato terreno fertile. Con l'acuirsi delle violenze, dunque, sono aumentate le detenzioni. Ciononostante, la difficoltà maggiore nello stanare la criminalità nel Salvador è nel contesto “ottimale” offerto dalle prigioni. Una delle più recenti e temibili gang salvadoregne, la Mara Salvatrucha 13, ha sempre trovato in questi luoghi il modo per fare affiliazioni con altre bande. Per questo, il governo ha creato, nelle carceri, dei settori separati per discernere i gruppi criminali, ma anche in questo caso tale operazione, lungi da essere un deterrente, ha favorito il proliferare delle cosiddette ranflas nacionales, le “cupole” criminali composte da sparuti gruppi di affiliati. Nonostante dal 2015 il governo abbia inasprito le misure per stanare i leader della gang, il proliferare delle violenze è sintomatico di un'emorragia sociale difficile da arrestare.