Almeno 200 mila persone sono scese in piazza a Barcellona per chiedere la liberazione di Jordi Sanchez e Jordi Cuixart, i due dirigenti della società civile arrestati per “sedizione”. Decine di migliaia hanno protestato, invece, nel resto della Catalogna. Il tutto a meno di due giorni dalla scadenza dell’ultimatum imposto da Madrid a Carles Puigdemont per sciogliere le riserve sulla dichiarazione d’indipendenza.
L’arresto dei presidenti di Anc e Omnium, le organizzazioni che hanno firmato le manifestazioni oceaniche per l’indipendenza della festa nazionale della Diada negli ultimi cinque anni, ha suscitato dure reazioni. La notizia del loro fermo ha provocato già ieri notte “caceroladas” di protesta in tutta la Generalitat. Puigdemont ha detto che in Spagna ci sono di nuovo “detenuti politici” e il Govern ha denunciato “una vergogna democratica“. Tutto lo schieramento indipendentista è insorto, condannando un ritorno alle pratiche del franchismo. “La Spagna è la nuova Turchia”, ha accusato il repubblicano Gabriel Rufian. “La Spagna non è una democrazia”, gli ha fatto eco il capogruppo della coalizione di Puigdemont, Luis Corominas.
La Cup, l’ala sinistra e più intransigente del fronte secessionista, ha proposto uno sciopero generale. Anche il leader di Podemos, Pablo Iglesias, ha ammesso di provare “vergogna”. Sanchez e Cuixart sono accusati di “sedizione” per le manifestazioni di protesta del 20-21 settembre dopo il blitz della Guardia Civilcontro le sedi del governo catalano e l’arresto di 14 alti funzionari. Decine di migliaia di persone si erano riunite davanti al ministero dell’Economia. La Guardia Civil rimase bloccata all’interno per alcune ore.
“Non sono detenuti politici, sono politici detenuti” ha detto il ministro della Giustizia spagnolo Rafael Català respingendo le accuse. Mentre il prefetto in Catalogna Enric Millo ha aggiunto che sono indagati “non per le loro idee ma per le loro azioni“. Senza però convincere il popolo indipendentista. A mezzogiorno di martedì la Catalogna si è fermata mentre risuonavano le sirene dei pompieri per chiedere la liberazione dei due. Migliaia di persone si sono concentrate davanti a luoghi di lavoro, municipi, ospedali al grido di “Llibertat!” e cantando “Els Segadors“, l’inno nazionale catalano. Centinaia di migliaia di persone hanno poi risposto all’appello di Anc e Omnium, riempendo nella notte, candele accese in mano, le piazze di Barcellona, Girona, Reus, Tarragona, Figueres, e tante altre.
I “due Jordi” sono i primi politici indipendentisti finiti in manette. Ma nessuno in Catalogna è pronto a scommettere siano gli ultimi. La procura spagnola e esponenti del Pp del premier Mariano Rajoy hanno già minacciato di arresto lo stesso presidente Puigdemont. E giovedì scade l’ultimatum di Rajoy: il “President” deve smentire di avere dichiarato l’indipendenza, o scatterà l’articolo 155 della Costituzione, che consentirà a Madrid di prendere il controllo delle competenze del “Govern”, destituire presidente e ministri, e convocare elezioni anticipate. Scatenando un probabile sollevamento.
Il portavoce, Jordi Turull, ha annunciato che la risposta sarà la stessa di lunedì. Il presidente catalano rilancerà solo l’offerta di un dialogo senza condizioni per due mesi. Ipotesi finora respinta da Rajoy. Nel fronte indipendentista crescono intanto le pressioni su Puigdemont perché proclami la Repubblica se sarà attivato il 155: la frattura, a quel punto, potrebbe diventare insanabile e avere conseguenze catastrofiche.
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