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Divieto del velo islamico a lavoro, per la Corte Ue non è discriminatorio

Non è discriminazione diretta vietare ai propri dipendenti indumenti che rappresentino “segni religiosi, politici o filosofici, come il velo islamico. E’ quanto ha stabilito la corte di Giustizia europea, chiamata in causa su due casi di donne musulmane – uno dal Belgio e uno alla Francia – entrambi riguardanti il diritto di indossare lo hijab sul luogo di lavoro, così come prescritto dalla religione musulmana, e che ha portato al licenziamento delle due dipendenti perché non volevano rinunciare al velo.

La sentenza della Corte Ue

“Una regola interna che proibisca di indossare un qualsiasi segno politico, filosofico o religioso non costituisce diretta discriminazione”, ha deliberato la Corte sottolineando però che il divieto può “invece costituire una discriminazione indiretta qualora venga dimostrato l’obbligo apparentemente neutro da essa previsto comporta, di fatto, un particolare svantaggio per le persone che aderiscono a una determinata religione o ideologia“. “Tuttavia, tale discriminazione indiretta può essere oggettivamente giustificata da una finalità legittima – si legge nella sentenza -, come il perseguimento, da parte del datore di lavoro, di una politica di neutralità (politica, filosofica e religiosa) nei rapporti con i clienti, purché i mezzi impiegati per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari”.

I casi

Sia il caso francese che quello belga, riguardano donne musulmane che sono state licenziate perché si sono rifiutate di togliere lo hijab quando erano alla loro scrivania. La sentenza belga, in particolare, riguarda il caso di una donna musulmana, Samira Achbita, assunta nel 2003 come receptionist dall’impresa G4S in Belgio. All’epoca dell’assunzione, una regola non scritta interna alla G4S vietava ai dipendenti di indossare sul luogo di lavoro segni visibili delle loro convinzioni politiche, filosofiche o religiose. Nell’aprile 2006, la signora Achbita ha informato il datore di lavoro del fatto che intendeva indossare il velo islamico durante l’orario di lavoro. La direzione le ha comunicato che non sarebbe stato tollerato, in quanto portare in modo visibile segni politici, filosofici o religiosi era contrario alla neutralità cui si atteneva l’impresa nei suoi contatti con i clienti. La signora ha insistito, e l’azienda ha modificato il regolamento interno per mettere nero su bianco “il divieto ai dipendenti di indossare sul luogo di lavoro segni visibili delle loro convinzioni politiche, filosofiche o religiose e/o manifestare qualsiasi rituale che ne derivi”. Dopo il rifiuto di rispettare la norma, la signora Achbita è stata licenziata e ha contestato tale licenziamento dinanzi ai giudici del Belgio, che a loro volta hanno chiamato in causa la Corte Ue.

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