Distruggere “monumenti insostituibili” è un crimine di guerra. Questa l’accusa che ha portato Ahmad Al Faqi Al Mahdi, membro della fazione islamica maliana “Ansar Dine” una milizia tuareg affiliata ad Al Qaeda e noto anche come Abou Tourab, davanti alla Corte Penale Internazionale per l’udienza di conferma delle accuse. E’ il primo caso in cui il Tribunale dell’Aja è chiamato a pronunciarsi per un crimine in cui non è stato versato sangue, ma è stato colpito il senso di appartenenza all’umanità.
Secondo l’accusa, Abou Tourab tra giugno e luglio 2012 guidò la sistematica distruzione di nove mausolei storici ed una moschea in Mali, tutti monumenti dichiarati ‘Patrimonio dell’umanità’ dall’Unesco. L’uomo, un esperto di legge islamico di Timbuctu, venne reclutato da ‘Ansar Dine’ per guidare un gruppo di jihadisti che imponesse la più rigida interpretazione della legge coranica nel nord del paese. Il gruppo distrusse le tombe definendole totem dell’idolatria. Eppure si trattava di mausolei venerati da secoli a Timbuctu, la città dei 333 santi, dedicati a personaggi fondamentali nella storia dell’Islam come Sidi Mahmoud Ben Omar Mohamed Aquit, gli sceicchi Mohamed Mahmoud Al Arawani, Sidi Mokhtar Ben Sidi Muhammad Ben Sheikh Alkabir, Sidi Ahmed Ben Amar Arragadi, Muhammad El Micky, Abdoul Kassim Attouaty. Ed ancora i mausolei di Alpha Moya, Ahamed Fulane e Bahaber Babadié, oltre alle porte della moschea Sidi Yahia.
Il procuratore della Cpi, la giurista gambiana Fatou Bensouda, nella presentazione del caso ha collegato le azioni del gruppo di Al Mahdi alla distruzione delle rovine di Palmira compiuta dall’Isis in Siria. “Un cinico attacco contro la dignità e l’identità di intere popolazioni e contro le loro radici storiche e religiose”. A mettere fine all’offensiva di ‘Ansar Dine’ fu l’intervento militare francese. E furono proprio le forze francesi ad arrestare Al Mahdi nell’ottobre 2014 in Niger. Durante l’udienza di oggi ai giudici è stato mostrato un video in cui Al Mahdi, con un kalashnikov in spalla, leggeva in pubblico la sentenza di una autoproclamata corte islamica.