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“Dateci più democrazia”. Gli studenti birmani scendono in piazza

Nel Myanmar, Birmania, sono in piazza da settimane i leader studenteschi, sostenuti dalle Ong impegnate nel settore dell’educazione, per chiedere emendamenti in chiave democratica alla nuova Legge sull’istruzione. Sotto accusa il governo, che avrebbe violato l’accordo – raggiunto di recente dalle parti– sulla bozza di riforma. Secondo gli attivisti e universitari, infatti, avrebbe fatto circolare un documento diverso rispetto a quello oggetto dell’accordo, mentre le autorità continuano a lanciare minacce contro i giovani in piazza. Il quadro è complicato dai movimenti nazionalisti buddisti, i quali criticano le richieste di modifica perché “danneggerebbero il futuro del Paese e sarebbero causa di disastrosi effetti collaterali”. In particolare ci si riferisce al punto che consentirebbe l’utilizzo della lingua nativa nelle aree abitate dalle minoranze, oltre 135 nel Myanmar. Da questo si sono sollevati movimenti e fazioni vicini all’ala estremista buddista birmana, che hanno aperto un nuovo fronte di scontro. A guidare la rivolta il movimento Ma Ba Tha – protagonista in passato di una campagna razzista contro i musulmani Rohingya – che, in un comunicato ufficiale, punta il dito contro alcuni emendamenti della riforma, senza specificarli. Essi sarebbero fonte di “preoccupazione” per il futuro della nazione.

In realtà la richiesta dell’uso della lingua locale è stata avanzata da organizzazioni cristiane vicine ai gruppi etnici, in particolare Kachin, Chin e Karen dove la religione cristiana ha un nutrito numero di fedeli. L’obiettivo è eliminare le discriminazioni e migliorare l’apprendimento dei bambini, spiega il leader studentesco Aung Hmine San a The Irrawaddy, perché “si impara meglio usando la lingua nativa”.

Già prima di raggiungere un accordo lo scorso 14 febbraio  – governo, parlamentari, studenti e National Network for Educational Reform – c’erano stati giorni di tensioni e rotture, seguiti da una lunga trattativa che ha portato ad accogliere molte proposte dei giovani. Ma nelle ultime ore è scattato un nuovo campanello di allarme, perché il governo ha sconfessato la bozza, definendola solo “una proposta”, continuando a lavorare sulla precedente Legge. Inoltre, i vertici istituzionali, a dispetto delle promesse, non hanno accantonato l’ipotesi di promuovere azioni legali contro i giovani manifestanti.

I rappresentanti degli studenti intanto hanno lanciato un ultimatum temporale al governo per ritirare la prima bozza e riprendere i suggerimenti dell’accordo, entro il 28 febbraio. Le istituzioni sono ora a un bivio: decidere se reprimere con forza la protesta o proseguire sulla via del dialogo con una soluzione pacifica. Purtroppo c’è un concreto rischio che si ripeta la violenta repressione del 1988, anche se nell’era di internet 2.0 sarà difficile tenere nascosta tanta brutalità, e pressioni della comunità internazionale potrebbero spingere l’esecutivo a un tono più conciliante.

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