“Il dialogo non è la risposta”. Lo ha scritto Donald Trump su Twitter dopo le ultime provocazioni della Corea del Nord. “Gli Stati Uniti – ha aggiunto il presidente Usa – hanno dialogato con la Corea del Nord e pagato loro denaro da estorsione per 25 anni“.
Eppure, secondo il numero uno del Pentagono James Mattis, uno spiraglio per una soluzione non militare della crisi esiste ancora. “Abbiamo sempre soluzioni diplomatiche – ha commentato – per trovarle continuiamo a lavorare insieme ai nostri alleati e con loro condividiamo la responsabilità di dover proteggere i nostri Paesi, i nostri popoli“.
L’ultimo test missilistico condotto dal regime di Kim Jong-un ha allarmato la comunità internazionale. La Germania ha “condannato con decisione i test balistici della Corea del Nord” e “condivide la forte preoccupazione espressa dal Giappone” ha spiegato il portavoce dell’esecutivo di Berlino Ulrike Demmer. Pyongyang, ha aggiunto, costituisce “una minaccia, non solo per l’area del Pacifico, ma per tutti i membri dell’Onu”.
La Gran Bretagna, invece, chiede un intervento più incisivo della Cina per contribuire a fermare i test nordcoreani “illegali e provocatori”. Alla vigilia del suo viaggio in Giappone, dove è in programma il suo incontro con l’omologo Shinzo Abe, la premier Theresa May ha spiegato che Londra sta valutando come aumentare la pressione sul regime di Pyongyang.
Obiettivo di un eventuale attacco nordcoreano contro gli Stati Uniti è la base militare di Guam, situata a sud della Fossa delle Marianne, in pieno Oceano Pacifico. Dopo la parentesi dell’imperialismo giapponese l’isola è ritornata territorio Usa nel 1944. E’ storicamente un approdo strategico sulle rotte che collegano la costa Usa occidentale al Sudest asiatico e per il controllo del Pacifico occidentale. Dista tre giorni di navigazione da Manila, sei dalle Hawaii, nove da Seattle e poco più di 10 dalla strategica base militare navale di San Diego. In linea d’aria, Seul è lontana 2.000 miglia, Tokyo 1.500 e Taipei 1.700.