Vent’anni di carcere per la first lady Simone Gbagbo, moglie dell’ex presidente Laurent, coinvolta nelle violenze post-elettorali dell’anno 2010-2011 in cui hanno perso la vita oltre 3000 persone. La donna che oggi ha 65 anni, è accusata di aver messo in pericolo la sicurezza dello stato, di aver contribuito a formare milizie armate e di aver diffuso un clima di xenofobia.
Il marito è in carcere all’Aja e attende il processo previsto a luglio di questo anno per crimini contro l’umanità, più precisamente per “omicidio, stupri e altre violenze sessuali, atti di persecuzione ed azioni disumane”, di cui detiene la “responsabilità individuale in quanto coautore indiretto”. Inizialmente anche la moglie avrebbe dovuto essere giudicata dalla Corte penale Internazionale, ma l’ex colonia francese ha negato l’estradizione.
Tutto è iniziato nel 2010 quando Laurent rifiutò di cedere il suo posto al leader dell’opposizione Alassane Ouattara, dichiarato vincitore dopo le elezioni. Simone Gbagbo, conosciuta anche come la “lady di ferro”, è finito sotto inchiesta proprio per essere stata complice nel diffondere una campagna di terrore contro il popolo terminata nel 2011 grazie all’intervento di una missione internazionale guidata dalla Francia. Le Nazioni Unite intanto dichiarano che il Paese è in fase di ripresa anche se Ouattara sta ancora faticando per riconciliarsi con il Fronte Popolare Ivoriano, il partito dell’ex presidente incarcerato.
L’ex first lady disse rivolgendosi alla corte di aver perdonato i suoi accusatori: “Io ho sofferto umiliazioni su umiliazioni durante questo processo. Ma sono pronta a scusarvi, perché se noi non perdoniamo il paese dovrà affrontare una crisi peggiore di quella che abbiamo vissuto”.