Esiste un solo metodo per arginare i massicci flussi migratori in Europa e contrastare lo smantellamento di comunità autoctone in Medio Oriente e in Africa: avviare un ampio e duraturo processo di sostegno in quei luoghi. C’è chi lo ha definito un nuovo “piano Marshall”, come Beata Kempa, ministro polacco per gli Aiuti umanitari, che ieri ed oggi è stata a Roma per inaugurare una mostra sulle azioni umanitarie intraprese negli anni 2017 e 2018 con il sostegno di Varsavia. Il titolo della retrospettiva è “Gli aiuti umanitari polacchi” e si tiene nella sala adiacente alla chiesa di San Stanislao, in via delle Botteghe Oscure 15.
L'impegno in Medio Oriente
Intervistata da In Terris, la Kempa ha spiegato che “la nostra azione umanitaria passa anche per canali governativi, ma soprattutto attraverso il sostegno finanziario alle associazioni che operano sui territori e attraverso i missionari polacchi, che sono circa 2mila in tutto il mondo”. Sono 660 i milioni stanziati dalla Polonia nel 2018 per il sostegno allo sviluppo, compresi gli aiuti umanitari. I luoghi in cui il governo polacco svolge la maggior parte del suo lavoro sono la Siria, la Giordania, il Libano e l’Iraq, zone colpite direttamente o indirettamente (per la presenza di profughi) dalla ferocia dello Stato islamico. “I vescovi e i sacerdoti locali – spiega il ministro – ci dicono che attualmente, ad esempio in Siria, si muore più per mancanza di medicinali che per le bombe”. L’ultima roccaforte dell’Isis, del resto, è stata distrutta poche settimane fa. La Polonia è dunque in prima linea per far fronte alle esigenze di una popolazione sfiancata da un conflitto durato otto anni e dalle sanzioni che continuano ad essere inflitte. La Kempa racconta a tal proposito che grazie alla Polonia “è stato aperto un centro medico ad Aleppo”. Al di là del confine, in Iraq, ingente è il sostegno alle donne yazide, vittime di traumi seguiti agli abusi subiti durante l'occupazione dell’Isis.
L'incontro con il card. Turkson
L’impegno polacco non vuole però limitarsi ai Paesi mediorientali. Nel corso della sua visita a Roma, il ministro Kempa lunedì ha incontrato il card. Peter Turkson, presidente del Pontificio consiglio Giustizia e Pace. “Si è parlato – afferma – del tipo di aiuto che l’Europa può offrire ai Paesi africani, specie a quelli da cui provengono i flussi migratori”. Il ministro ha sottolineato che “Italia, Spagna e Grecia, primi approdi dei migranti, non possono essere lasciati da soli”, serve piuttosto un’azione coordinata di tutti gli Stati membri dell’Ue per aiutare l’Africa. “Speriamo – ha detto la Kempa rivolgendo lo sguardo alle elezioni europee del 26 maggio – che il nuovo Parlamento europeo sia più sensibile al tema dello sviluppo dell’Africa” attraverso “un piano Marshall”, perché – ha proseguito – “solo così è possibile arginare i trafficanti di esseri umani” che alimentano i flussi migratori. “Non possiamo fare i conti solo le conseguenze dell’immigrazione, ma affrontare alla radice anche le cause dell’esodo”, la riflessione del ministro, che oggi ha incontrato anche il sottosegretario italiano agli Esteri, Guglielmo Picchi.
Il ricordo di Giovanni Paolo II
Infine il ministro ha ricordato la figura del suo connazionale Giovanni Paolo II, di cui proprio oggi ricorrono quattordici anni dalla morte. “Nella funzione che svolgo come ministro – dice – mi è particolarmente caro l’insegnamento a prendersi cura degli altri”. La Kempa venne con sua madre in pellegrinaggio a Roma per i funerali di Papa Wojtyla, e ora nella Città Santa si trova in visita diplomatica da ministro. Il tempo passa, le situazioni cambiano, ma la fede resta integra. “Giovanni Paolo II – afferma – ci ha insegnato a fare come lui, ad essere ben saldi su Gesù Cristo e la Madonna, per affrontare ogni circostanza, comprese le tempeste”.
Si ringrazia il collega Wlodzimierz Redzioch per la collaborazione