Stavolta la provocazione della Corea del Nord è stata di proporzioni gigantesche. Kim Jong-un, alla fine, lo ha fatto davvero: il sesto test atomico, confermato nelle ore mattutine dalle autorità di Seul, è stato effettuato nel Pacifico, liberando una potenza tale da scuotere le fondamenta della Terra. Addirittura due scosse di terremoto, una di 6.3, seguita dopo poco da un’altra di 4.6 (entrambe con ipocentro a zero chilometri), hanno interessato la parte settentrionale della Corea, evidenziando una cosa: il test della bomba a idrogeno è riuscito e la potenza registrata si attesta su un valore di 5 volte superiore (100 kilotoni) a quello della testata che distrusse Nagasaki nel 1945.
Trump e Putin, linee diverse
Dopo un primo momento di stallo, Trump ha convocato il Consiglio di Sicurezza Nazionale della Casa Bianca per parlare della Corea del Nord. Al termine dell’incontro con i vertici militari, a chi gli chiedeva informazioni su un possibile attacco preventivo, il Tycoon ha risposto con un criptico “vedremo”, lasciando aperta ogni possibilità. In giornata, il presidente aveva punzecchiato la Cina e tirato in ballo il tentativo (ormai accantonato) di dialogo della Corea del Sud: “Io glielo avevo detto… il dialogo è inutile”. Da parte sua, Putin ha fatto sapere (dopo una telefonata con Shinzo Abe) che ogni soluzione dovrà percorrere la strada della diplomazia.
Ricognizioni anti-radiazione
“Abbiamo condotto con successo il test di una bomba all’idrogeno”, recita con soddisfazione la tv nordcoreana dando nelle ore pomeridiane (le 8.30 circa in Italia), quando gli Stati Uniti erano ancora addormentati, l’annuncio dell’esplosione che, in un primo momento, si era temuto fosse addirittura stata seguita da una seconda. Il secondo sisma, infatti, dovuto probabilmente a un effetto collaterale della detonazione, aveva fatto serpeggiare il timore che i test fossero stati più del previsto. L’ipotesi avanzata dall’Usgs, invece, è che si fosse trattato del collasso della struttura di Punggye-ri, il sito del test, alimentando il terrore di una fuga di radiazioni. Niente di tutto questo assicurano da Pyongyang: il tutto ha retto e le scorie radioattive sono rimaste confinate sulla montagna. Il secondo sisma, però, ha ridestato anche Cina e Russia, facendo rimbalzare le sue onde fino a Vladivostok. Troppo lontano per restare indifferenti. E per dar credito ai portavoce di Kim: da qui le ricognizioni.
Ombre sulla Corea
Nel frattempo, fra un terremoto e l’altro, la Corea del Sud aveva già convocato il Consiglio di sicurezza, il premier del Giappone, Shinzo Abe, aveva spedito i suoi jet in ricognizione per monitorare le radiazioni e, a quanto pare, lo stesso avrebbe fatto la Cina. Segno evidente che, in questo momento, Kim è fuori controllo anche per il potente vicino. Ma, probabilmente, che anche gli Stati Uniti stiano scegliendo una via che non passi necessariamente per il (complicato) sentiero del dialogo. Le minacce rivolte a Guam, specie dopo l’inquietante test odierno, alimentano la possibilità di un’azione preventiva da parte degli Usa. Ed è ciò che probabilmente Kim teme. D’altronde, quella arrivata a mezzogiorno (ora coreana) assume l’aria di qualcosa in più che una minaccia o una provocazione. A ogni modo, dalla prossima assemblea Onu dovrebbe arrivare qualche risposta sulla linea d’azione. Che sia applicabile a un missile intercontinentale o meno (Pyongyang assicura di sì), però, le stime sulla potenza distruttiva della testata è emblematica: 100 kilotoni (ognuno dei quali pari a 1000 tonnellate di tritolo), 10 volte più forte del quinto test atomico. La promessa di “fuoco e fiamme” da parte di Trump che aveva fatto star buono Kim per qualche tempo, sembra ormai in archivio: il rischio è che l’equilibrio dell’allerta sia troppo sottile per reggere a lungo.