Va tutto bene, o almeno così deve sembrare. Le notizie della tempesta finanziaria che si è abbattuta su Shanghai e Shenzhen, trascinandosi già anche le borse europee e americane, non devono apparire sui media cinesi, pena la galera. La narrazione della crisi da parte di Pechino è all’insegna del “va tutto bene”. Come riporta la Stampa, infatti, ai giornalisti è vietato pubblicare notizie e commenti negativi su quanto sta avvenendo in estremo Oriente.
Da ciò che passa dai media, la Cina è il migliore dei mondi possibili. A ricevere critiche possono essere i singoli funzionari, ma le autorità del Paese sembrano sempre aver imbroccato la strada giusta. Quando le cose però vanno davvero storte e non c’è modo di “indorare la pillola” le soluzioni sono due: la prima è il silenzio totale, come è accaduto martedì e mercoledì nel Paese, proprio i giorni più drammatiche per le Borse di Shangai e Shenzhen. La seconda è scatenare la caccia alle streghe.
Ed è ciò che sta facendo ora l’agenzia di stampa governativa, la Xinhua, che ha dato tutta la colpa del Black Monday e dei suoi strascichi finanziari agli Stati Uniti, in particolare all’atteso aumento del costo del denato Usa. Il vero bersaglio della stampa governativa, però, sono i giornalisti e i broker. Un giornalista del settimanale economico Caijing è stato arrestato perché ha raccontato una storia diversa da quella che piace al governo: cioè che il valore delle azioni cinesi stava calando.
Oltre che per i giornalisti, le manette sono scattate anche per diversi analisti finanziari: almeno 8 dipendenti della banca di investimenti Citic Securities sarebbero stati portati via dalla polizia, ma anche la Haitong Securities, GF Securities, Huatai Securities e Founder Securities sono state messe sotto inchiesta e il numero degli arresti è imprecisato.