Otto persone sono state condannate a morte da un tribunale cinese nello Xinjiang: a diffondere la notizia è stata la televisione di Stato, la China Central Television (Cctv). Gli imputati erano accusati di “attentati terroristici” compiuti, secondo la sentenza, la scorsa primavera nella Regione autonoma uigura a maggioranza musulmana. Inoltre, altri cinque imputati hanno ricevuto una condanna a morte sospesa, che probabilmente verrà tramutata in ergastolo.
La minoranza etnica degli uighuri, turcofoni musulmani residenti nello Xinjiang, è da mesi in rivolta per protestare contro le discriminazioni dei cinesi e contro l’emarginazione in cui si trovano: la vasta regione del nordovest della Cina è ricca di materie prime, a cui fli uighuri non hanno accesso. La comunità turcofona lamenta di essere lasciata ai margini dello sviluppo economico i cui benefici andrebbero tutti agli immigrati cinesi, che negli ultimi decenni sono diventati invece la maggioranza nella regione.
Dal 2009, quando quasi 200 persone furono uccise in scontri etnici, la violenza non ha fatto che aumentare: attentati contro cittadini cinesi si sono verificati anche a Pechino e a Kunming, nella Cina meridionale. Secondo il governo di Pechino, gli uighuri si stanno legando sempre di più a gruppi terroristici di matrice islamica: gli esuli sostengono invece che si tratta di atti disperati e non organizzati.
Le condanne annunciate oggi sono state inflitte a persone ritenute responsabili di una serie di attentati che si sono verificati ad Urumqi e che hanno provocato la morte di decine di persone. Il numero delle pene capitali e delle esecuzioni in Cina è un segreto di Stato: secondo le organizzazioni umanitarie, negli ultimi mesi sarebbero state comminate circa 40 condanne a morte, circa la metà delle quali sarebbero state eseguite.