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Chi pesterà la prossima mina?

Il 4 aprile di ogni anno si celebra la Giornata internazionale per la sensibilizzazione e la consapevolezza sulle mine, ricorrenza voluta dalle Nazioni Unite – che sul fenomeno hanno istituito un'apposita Agenzia (Unmas) – per promuovere la piena bonifica dei teatri di guerra (e non solo) da questi ordigni. La Giornata, quest'anno, peraltro, cade a poco più di 20 anni dall'entrata in vigore (era il 1° marzo 1999) della Convenzione internazionale per la proibizione dell'uso, stoccaggio, produzione, vendita di mine antiuomo e relativa distruzione, anche conosciuta come Trattato di Ottawa. Atto normativo internazionale, la cui applicazione, come vedremo, procede a rilento. 

Il rapporto

Sono i numeri, ancora una volta, a fornici un quadro sulla minaccia rappresentata da queste armi, il cui obiettivo è uccidere, ferire e mutilare in modo indiscriminato, senza fare distinzione fra soldati in azione e comuni cittadini inconsapevolmente finiti nel posto sbagliato. Nel 2017, stando all'ultimo rapporto dell'Osservatorio Onu sulle mine, le vittime accertate sono state 7.239, fra cui almeno 2.739 morti. Il dato ha registrato un generale calo rispetto al 2016, ma questo non ridimensiona un fenomeno che colpisce soprattutto i civili (che rappresentano l'87% delle vittime totali) e, in particolare, i bambini (47%). 

Micidiali

Ma quali (fra mine strictu sensu e ordigni similari) sono i più pericolosi? La maggior parte delle vittime (2.716) è stata provocata da ordigni improvvisati, seguite da mine non specifiche (843), mine antiuomo (748), bombe anticarro (488), residuati bellici (313) e munizioni inesplose (93). 

Paesi più colpiti

Morti e feriti sono distribuiti in 49 Paesi, fra cui emergono i principali teatri di guerra e regioni alle prese con crisi militari: Afghanistan (2.300 vittime in un anno), Siria (1.906), Ucraina (429), Iraq (304), Pakistan (291), Nigeria (235), Myanmar (202), Libia (184) e Yemen (160). Tra questi Afghanistan, Ucraina, Iraq, Nigeria e Yemen sono firmatari del Trattato di Ottawa. 

Obiettivo difficile

L'orizzonte di un 2025 Landmine free, auspicato fra gli altri dal principe Harry d'Inghilterra, sembra, dunque, piuttosto lontano. Anche perché, secondo l'International Campaign to Ban Landmines – che nel 1997 si è guadagnato il Nobel per la Pace – è attualmente “impossibile quantificare” il numero totale di esplosivi ancora posizionati. Solo nel 2017, spiega l'Agi, gli sminatori hanno estratto circa 168mila ordigni, mentre negli ultimi 5 anni i ritrovamenti sono stati più di un milione. Secondo un'altra organizzazione umanitaria le mine ancora sotterrate sarebbero circa 110 milioni

Sforzo globale 

Ma per Marion Loddo, direttrice dell'Osservatorio Onu, la “buone notizie” non mancano. “L'elevato livello d'investimenti nazionali e internazionali sul punto dimostra l'esistenza di una volontà globale per liberare il mondo dalle mine antiuomo”. Nell'ultimo anno, ha sottolineato, “abbiamo registrato un aumento di oltre 200 milioni di dollari di investimenti rispetto al 2016″. Nel 2017, dai donatori internazionali è arrivata la cifra record di 673,2 milioni di dollari, distribuiti in 38 Paesi e altre 3 regioni. Si tratta del contributo più alto degli ultimi 20 anni. E tuttavia questo ha coinciso con un calo “dei fondi destinati all'assistenza delle vittime, che hanno ora raggiunto un minimo storico”. 

 

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