Come Taiwan. Forse a uno statuto politico analogo puntano i migliaia di giovani decisi a reiterare le proteste contro il governo di Hong Kong. E così, nella città in cui vige lo status “un paese due sistemi” dalla restituzione formale da parte del Regno Unito nel 1997, la “sovranità parziale” di Pechino sul Porto Profumato è diventata stretta. Ieri almeno 5.000 manifestanti hanno occupato l'aeroporto internazionale e organizzato un sit-in. Lo sfoltimento dei protestatari ha consentito una ripresa dei voli, seppure a breve termine: come riporta il quotidiano La Repubblica, l'occupazione in massa dell'aeroporto è ricominciata all'alba e questo ha portato a una nuova cancellazione dei voli. L'occupazione dello scalo è una scelta fin troppo evidente. Come sottolinea Agostino Giovagnoli, Professore di Storia Contemporanea all'Università Cattolica di Milano, “arrivare a occupare l'aeroporto è un salto di qualità che può essere pericoloso”. La sospensione del temuto progetto di legge sull'estradizione ha incoraggiato i giovani di Hong Kong a pretendere più diritti: primo fra tutti, le dimissioni della governatrice Carrie Lam, accusata dai più di avere una visione concorde con Pechino. Intervistato da In Terris, il Prof. Giovagnoli avverte sui rischi che l'escalation delle proteste comporta sulla stessa coesione della società hongkongese.
Professore, dove stanno portando le proteste di questi giorni?
“Credo che a Hong Kong si stia toccando un punto molto pericoloso, perché le poteste, apparentemente senza fine, non hanno uno sbocco politico dal punto di vista politico. C'è confusione su ciò che i manifestanti si propongono”.
In che senso?
“La società è stata compatta nel rifiuto della legge sull'estradizione e nella richiesta di dimissioni della governatrice, ma non lo sarà su quelle azioni che danneggiano gli interessi economici di Hong Kong. Siamo di fronte a una protesta che pare sfuggita di mano, difficile da controllare”.
Che ruolo riveste ora la Cina?
“La Cina si trova in forte imbarazzo: da una parte non può tollerare questa sitazione, ma d'altro canto non può nemmeno intervenire in maniera incisiva, perché questo avrebbe un prezzo negativo in termini di immagine internazionale. La vittoria sulla legge di estradizione è una bella conquista e ciò dimostra che questi spazi [definiti dallo statuto speciale di Hong Kong, ndr] possono essere ben utilizzati. Chi, invece, vira verso l'affermazione dell'indipendenza di Hong Kong si gioca tutto, perché la risposta della Cina potrebbe essere solo la repressione, ma sarebbe controproducente e fuori dalla storia”.
Che ruolo stanno avendo i giovani?
“La loro azione, come spesso accade, è impolitica. Non c'è un disegno dietro, né un obiettivo, per cui, provocando reazioni più o meno indirette, espandono Hong Kong a un'azione di forza da parte di Pechino”.
Clyde Prestowitz, ex consigliere del presidente Usa Reagan, ha dichiarato a La Stampa che Hong Kong vuole “lo stato di diritto così come accade a Taiwan”…
“Hong Kong non è uno Stato, è una parte della Cina con uno statuto speciale. Così è stato sancito con la cessione da parte del Regno Unito. Pertanto, pensare a uno stato autonomo è una follia: Hong Kong è un'invenzione coloniale, in questo la politica della Repubblica Popolare Cinese è chiarissima”.
C'è una soluzione possibile, dunque?
“Io mi auguro che si arrivi a un compromesso. L'autonomia oggi è una parola pronunciata a mezza bocca. Se questa diventasse la vera bandiera, sarebbe una richiesta davvero difficile perché l'appartenenza a Pechino non è stata finora essa in discussione. Quando gli inglese succedettero Hong Kong alla Cina, l'indipendenza nel suddetto statuto non era contemplata”.