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Camerun, anglofoni ancora in piazza: si temono violenze nel weekend

Nelle regioni anglofone del Camerun, situate nel nord-ovest e nel sud-ovest del Paese, la situazione rischia di sfuggire di mano. Da mesi la popolazione locale è in stato di agitazione. Migliaia di persone continuano a scendere in piazza per denunciare la discriminazione e gli arresti ai danni dei propri corregionali e chiedere l’indipendenza da Camerun francese. Il tutto avviene nel 56esimo anniversario della riunificazione delle due ex colonie. Le manifestazioni, iniziate in modo pacifico, potrebbero degenerare anche per via del pesante intervento delle forze dell’ordine e il governo teme che nel fine settimana possano verificarsi scontri e violenze. Per la giornata di domenica, in particolare, sono previste nuove proteste ma alcuni gruppi starebbero progettando di arrivare a proclamare l’indipendenza delle regioni anglofone.

Temendo scontri e tafferugli diversi abitanti di BamendaBuea e Kumba stanno cominciando a lasciare le proprie città, per spostarsi verso le regioni francofone. Il governo ha rafforzato le misure di sicurezza e invitato gli anglofoni a mantenere alla calma. Stesso appello è giunto da Ni John Fru Ndi, capo del Fronte sociale democratico (Sdf), partito di opposizione che si è detto contrario alla secessione ma favorevole al federalismo. Ndi non ha mancato tuttavia di accusare il presidente Paul Biya, considerato responsabile dell’escalation di tensione.

Intanto Human rights watch ha denunciato la deportazione di migliaia di richiedenti asilo, giunti in Camerun per fuggire dalla furia di Boko Haram, in Nigeria. Le autorità di Yaoundé avrebbero espulso circa 100 mila profughi e alcuni militari camerunesi sono stati accusati di aver commesso violenze. Secondo l’organizzazione umanitaria migliaia di rifugiati sono stati costretti a riparare in villaggi e campi profughi dello Stato di Borno e sono esposti a “dure condizioni di vita e sfruttamento sessuale”. La zona è teatro degli scontri tra forze nigeriane e jihadisti di Boko Haram.

Edith Driscoll

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