Di fronte alle elezioni presidenziali degli Stati Uniti, il voto in Bulgaria può apparire decisamente in secondo piano nello scacchiere internazionale. Eppure per gli osservatori non è affatto così, perché la Bulgaria è una delle porte dell’Europa sul fronte orientale e quindi ha un ruolo strategico importante. Oggi sono chiamati alle urne quasi sette milioni di elettori che avranno la possibilità di scegliere tra 21 candidati. Con una novità assoluta, che ha fatto molto discutere. Quella di barrare la casella “Io non voto per nessuno”. Una possibilità introdotta perché a partire da queste consultazioni chi non si recherà alle urne per due elezioni consecutive senza una “giusta causa” (sono esentati ultrasettantenni e disabili), dalla terza perderà il diritto di voto. Una norma, peraltro sottoposta a referendum, per arginare l’astensionismo in un Paese noto per la partecipazione massiccia al voto. “Maggioranza bulgara” è un luogo comune conosciuto da tutti. Ma ormai sembra appartenere al passato.
Tra i candidati, un numero record, i due favoriti per andare al ballottaggio di domenica 13 (inevitabile secondo tutti i sondaggi) sono la presidente del Parlamento Tsetska Tsacheva, esponente del partito di governo Gerb (Cittadini per lo sviluppo europeo della Bulgaria), e il generale Rumen Radev, ex comandante dell’aeronautica, candidato dei Socialisti (BSP). L’attuale capo di stato Rosen Plevneliev, infatti, ha deciso di non ricandidarsi. La favorita sembra proprio Tsacheva, che gode del sostegno di una formidabile la macchina elettorale. Tuttavia sarebbe stata “danneggiata” dalla decisione del premier Boyko Borisov, vero uomo forte della politica bulgara, di aspettare fino all’inizio di ottobre per annunciare il nome della sua candidata, consentendo una rimonta del generale Radev che al secondo turno potrebbe contare sui voti dei nazionalisti Patrioti uniti, la coalizione tra Fronte patriottico e Ataka, anche se quest’ultimo partito non sembra intenzionato a sostenere Radev. Il candidato nazionalista è Krassimir Karakachanov, fermo oppositore dell’accoglienza dei rifugiati. Borisov sta “corteggiando” i Patrioti uniti ai quali potrebbe concedere l’ingresso nella compagine governativa in cambio del sostegno al secondo turno. Ma Karakachanov potrebbe davvero risultare il terzo incomodo. Secondo un sondaggio del 31 ottobre, Radov era in vantaggio con il 30.7%, seguito dal leader nazionalista con il 28.5% e dalla Tsacheva con il 25%.
Un altro partito che potrebbe essere decisivo per l’elezione del nuovo presidente è quello della minoranza turca (Mrf) che candida l’ex premier Plamen Oresharski. Nessuna possibilità di essere eletto ma un bacino elettorale a disposizione dei due contendenti al ballottaggio, visto che la sua formazione ha governato sia con i socialisti (due volte, tra il 2005 e il 2009 e poi nel 2013-2014) sia, informalmente, con Gerb.
La Tsacheva è accusata dai suoi avversari di avere un passato comunista. La replica del partito è che “nel 1989 qui erano quasi tutti comunisti”. Radev, invece, viene considerato un tecnico sostenuto dalle frange più conservatrici del Paese. Uno dei temi su cui si sono scontrati i due candidati è l’atteggiamento nei confronti della Russia. Nel corso di un dibattito televisivo, a una domanda sull’invasione della Crimea, Tsacheva ha risposto che si è trattato di una “gravissima violazione” mentre Radev ha espresso un giudizio ben più morbido, affermando che il destino della Crimea “dipende dal suo popolo”.
Oggi gli elettori voteranno anche su tre quesiti referendari. Uno, come detto, riguarda l’introduzione del voto obbligatorio. Gli altri due l’introduzione del sistema maggioritario e il taglio dei finanziamenti pubblici ai partiti a un lev (0,56 dollari) per ogni voto.