Per il momento non c'è stato nessuno tsunami a Downing Street. Era da qualche giorno che Boris Johnson sembrava meditare in silenzio, nel suo ufficio al numero 10, lontano dai riflettori e da Westminster, studiando la soluzione per venir fuori dallo stallo provocato dalla bocciatura del suo stop al Parlamento arrivata dall'Alta Corte britannica. I cataclismi sospettati in seguito alla dichiarata illegalità delle sue azioni non si sono concretizzati per ora, Johnson continua a lavorare da premier senza maggioranza e punta a sbrogliare per primo il nodo Brexit, quello più urgente. Scioglierlo a modo suo: perché come già anticipato dai quotidiani britannici (il Telegraph in testa), Johnson punta a una soluzione controversa per risolvere il problema del backstop irlandese, lasciando l'Irlanda del Nord allineata al mercato europeo almeno fino al 2025, un margine di tempo che dovrebbe servire al parlamento nordirlandese per decidere cosa fare alla scadenza dei 5 anni: restare in allineamento all'Ue o tornare sotto l'egida britannica, scelta che comporterebbe però un confine rigido con il resto dell'isola. Quindi nessun doppio confine (sia sul lato irlandese che su quello britannico) come era stato ipotizzato nei giorni scorsi e, come riportato dalla Bbc, successivamente smentito dallo stesso Johnson.
Il backstop
Al netto delle dichiarazioni di Johnson dopo la conferenza Tory, il nodo cruciale del suo discorso continua a riguardare proprio la questione irlandese, sulla quale il premier deve muoversi cercando di non scontentare l'Unione europea (Dublino in particolare, in quanto fra i 27 votanti) ma senza nemmeno snaturare il fatidico Accordo del Venerdì Santo. Per ora il Dup sembra dalla parte dei conservatori ma l'idea di un confine sospeso, che necessiterà comunque di alcuni checkpoint doganali (nei giorni scorsi era stata avanzata l'ipotesi di porli poco prima dei confini, così da non creare vere e proprie barriere di frontiera) per poi capire cosa fare di qui a cinque anni, potrebbe non accontentare del tutto i 27, Irlanda in testa, nonostante la promessa del premier di mantenere i controlli “al minimo assoluto”. Un accordo che, a una prima occhiata, i tabloid britannici ritengono troppo semplicistico, perlomeno analizzando la questione dal punto di vista dell'Ue, che vorrebbe un accordo definito e posizioni chiare sulle misure da adottare tra Dublino e Belfast, laddove il resto dei contenuti resterebbe comunque sostanzialmente fedele alla linea tracciata da Theresa May.
Le alternative
Se in Parlameno potrebbe farcela (se il Dup, che ha ospitato a Manchester la conferenza, confermasse il proprio sostegno), quindi, a Bruxelles la situazione potrebbe non essere altrettanto favorevole per il piano Johnson che, per sua stessa ammissione, sarà l'ultima proposta che il Regno Unito avanzerà ai 27. In alternativa, le piste sono due ma l'una, tecnicamente, escluderebbe l'altra: la Gran Bretagna potrebbe salutare l'Unione il 31 ottobre anche senza accordo (soluzione che a Johnson, vista la linea adottata finora, potrebbe non dispiacere), ossia con il temuto No Deal e con tutte le conseguenze, potenzialmente disastrose, a cui britannici andrebbero incontro; c'è però una legge anti-no deal che impone al premier, qualora non ci fosse un accordo con Bruxelles, di chiedere un ulteriore rinvio. Una norma-lampo fatta approvare dalle opposizioni come leva d'emergenza ma che non ha mai convinto Johnson che, per questo, starebbe cercando assieme ai suoi il modo per aggirare l'obbligo e mettere una pietra sopra a qualsiasi intesa con l'Ue in caso fosse bocciata la sua ultima proposta. Al momento, una tale scelta comporterebbe pesanti conseguenze, anche a livello legale. Un dato provvisorio ma, a ora, l'unico a essere davvero certo.