A San Paolo, città del Brasile, sono scoppiati dei tafferugli tra le forze dell’ordine e i manifestanti contro l’impeachment della presidente brasiliana, Dilma Rousseff. Il battaglione anti-sommossa della polizia militare carioca ha usato lacrimogeni e granate stordenti per disperdere la folla, che aveva costruito barricate improvvisate per bloccare l’Avenida Paulista. Da alcuni camion della polizia sono poi partiti getti d’acqua per respingere i dimostranti, che protestano anche contro il presidente ad interim, Michel Temer, ex vice presidente con Dilma e considerato dagli avversari di essere la mente del “colpo di stato camuffato”.
“Votate contro l’impeachment, votate per la democrazia”, è stato l’ultimo appello lanciato dalla Presidente la cui sospensione dalle funzioni di Capo dello Stato dovrebbe diventare definitiva entro domani. Durante il lungo dibattito di ieri dinanzi agli 81 senatori che decideranno la sua sorte politica, Rousseff ha negato, ancora una volta, d’aver commesso alcun reato amministrativo manipolando il budget dello Stato ed ha denunciato un tentativo di golpe. “La Costituzione è chiara, dice che per avviare una procedura di impeachment ci vuole un reato. Se non c‘è reato, allora questo processo di impeachment che esclude dal governo una persona innocente è un colpo di Stato” ha detto.
Rousseff ha indicato chiaramente chi sono i responsabili di questo “attentato” alla massima carica dello Stato: il Presidente ad interim Michel Temer, l’ex-Presidente della Camera Eduardo Cunha – dimessosi dopo essere stato travolto da scandali di corruzione – e i vertici ultraconservatori. Stando all’intenzione di voto dei senatori, il destino della Rousseff sembra segnato, salvo miracoli: sui 54 voti a favore necessari per destituirla, 52 sarebbero già certi. La sua destituzione chiuderebbe 13 anni di presidenza continuativi da parte di politici del Partito dei Lavoratori, a cominciare da Lula in carica dal 2003 al 2011.