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Birmania, assassinato il consigliere musulmano Ko Ni, consulente di Aung San Suu Kyi

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Un omicidio a sangue freddo quello avvenuto all’aeroporto di Yangon, ex capitale della Birmania, ai danni di Ko Ni, avvocato e fidato collaboratore della leader Aung San Suu Kyi. L’uccisione è avvenuta nel pomeriggio del 29 gennaio, mentre l’uomo stava aspettando l’auto dei suoi familiari con un bambino in braccio, probabilmente suo nipote. Un solo colpo di pistola alla nuca, esploso da distanza ravvicinata da un cinquantatreenne di Mandalay, vestito con una maglia rosa e ciabatte, il quale, dopo aver urlato alcune parole e aver freddato il legale, avrebbe ucciso anche un tassista che ha tentato di fermarlo, prima di essere tratto in arresto. Secondo quanto riportato, ci sarebbero stati altri feriti, mentre il piccolo è fortunatamente rimasto illeso. Ko Ni era appena tornato da un viaggio in Indonesia.

Movente non chiaro

Grande scalpore, nel Paese del sud-est asiatico, per l’assassinio di uno tra i più fidati collaboratori della politica birmana, noto per i suoi discorsi in favore della tolleranza religiosa, nonché fra i più importanti rappresentanti musulmani della Lega nazionale per la democrazia (Ndl), il partito attualmente al governo. Non sono ancora chiare le cause del gesto, anche se la pista politica è la più battuta dagli inquirenti, assieme a quella religiosa: l’uomo era infatti un ex prigioniero politico, famoso per le sue posizioni democratiche, pluraliste e tolleranti. Ma, altrettanta, era la sua avversa posizione nei confronti dell’eccessivo potere concentrato nelle mani dell’esercito, il quale esercita un controllo pressoché totale su almeno tre dei principali ministeri, circostanza che aveva spesso causato dissidi fra lui e il suo stesso partito, al quale è comunque sempre rimasto fedele, nonostante le recenti critiche da lui effettuate per la mancata candidatura di un rappresentante musulmano al partito di Suu Kyi.

Un rischioso precedente

Un episodio certamente grave quello accaduto a Yangon, che rischia di trasformarsi in un pericoloso precedente per il giovane governo democratico, guidato dal presidente Htin Kyaw, in una nazione nella quale, peraltro, gli omicidi di stampo politico sono tutt’altro che frequenti. L’assassinio dell’avvocato (ed erudito costituzionalista), al netto di ulteriori sviluppi nell’indagine, costituisce un ulteriore elemento di difficoltà nell’attuale condizione politica del Paese: sono in corso, infatti, violenti atti discriminatori nei confronti della minoranza di professione islamica dei Rohingya nell’Arkan, nel nord birmano. Nei giorni scorsi, oltre 60 mila persone sono state costrette a fuggire in Bangladesh, a causa delle feroci operazioni anti-terrorismo in atto.

“Era spesso minacciato – ha commentato la figlia, Yin Nwe Khine – e siamo stati consigliati di stare attenti, ma mio padre non si rassegnava e ha sempre fatto quello che riteneva giusto”.

Damiano Mattana: