Di questo passo si rischia il record in Israele, dove il leader dell'opposizione, Benny Gantz, ha rinunciato all'incarico conferitogli di formare una coalizione di governo, lasciando di fatto le redini dell'esecutivo ancor prima di prenderle in mano. Il mandato conferito dal presidente Reuven Rivlin finisce dunque in archivio e, molto probabilmente, il Paese dovrà vedersela di nuovo con la sfida delle urne. In caso, sarebbe la terza volta in un solo anno, primato poco invidiabile per uno Stato che, prima con l'ex premier Benyamin Netanyahu (vincitore di misura delle ultime elezioni ma chiamatosi fuori non essendo riuscito a formare un governo) poi con l'ex capo di stato maggiore dell'esercito, non centra la necessaria formazione di una coalizione che dovrebbe garantire alla forza di maggioranza il sostegno di almeno 61 deputati dei 120 presenti nel Parlamento israeliano, la Knesset.
Caos politico
Si trova al punto di partenza Israele, costretto a fare i conti con una turbolenta crisi politica interna, in un momento in cui il “cessate il fuoco” sulla Striscia ha tutt'altro che grantito una tregua a Gaza, con cui continua il reciproco lancio di razzi. Altro punto focale riguarda il lasso di tempo estremamente esiguo, nel quale però Israele dovrà necessariamente organizzare la tornata elettorale, fermo restando che, da qui a tre settimane, ci sarebbe volendo la possibilità per uno dei candidati (uno qualsiasi) di provare a formare il fatidico governo col sostegno dei necessari 61 parlamentari. Una circostanza che, però, secondo gli analisti risulta estremamente improbabile, il che riduce sensibilmente le vie d'uscita per Israele, a questo punto quasi costretto a dare nuovamente parola agli elettori. Altrettanto lontana, poi, l'ipotesi di un governo di larghe intese, iniziativa promossa dal presidente Rivlin ma rigettata quasi immediatamente dalle parti in causa, Netanyahu in primis, che ha da subito rifiutato di schierarsi con i rivali, essendo decisamente più propenso a un governo con i partiti di destra. Anche su quel fronte, però, niente di nuovo in settimane intere di trattativa: nove su dieci si voterà di nuovo, senza nessuna garanzia di fare meglio.