Sta facendo discutere la vicenda legata all'ex signore della guerra congolese Jean-Pierre Bemba, assolto dal Tribunale penale internazionale dell'Aja.
La vicenda
Venerdì scorso la corte ha concesso la libertà provvisoria all'ex vicepresidente della Repubblica democratica del Congo, ma “sotto specifiche condizioni”. Bemba è stato assolto in appello dalle accuse di crimini di guerra e contro l'umanità, che secondo l'accusa la sua milizia avrebbe commesso in Centrafrica tra ottobre 2002 e marzo 2003. In primo grado, nel 2016, era stato riconosciuto colpevole e condannato a 18 anni di carcere, la pena più pesante mai inflitta dal Tpi. A questo punto la Corte dell'Aja è in attesa di risposta ufficiale dal Belgio, Paese scelto dallo stesso Bemba per raggiungere la famiglia residente a Rhode-Saint-Genese, alla periferia di Bruxelles. Una volta libero dovrà astenersi dal fare dichiarazioni pubbliche sulla vicenda, non potrà cambiare indirizzo senza preavviso né contattare alcun testimone della vicenda e consegnarsi immediatamente alle autorità competenti se la Camera di prima istanza lo richiede. In realtà Bemba è già stato condannato per subornazione di 14 testimoni e rimane in attesa della sentenza; rischia fino a 5 anni di carcere, una pena in realtà già scontata in quanto il signore della guerra è detenuto all'Aja da 10 anni.
Gioia e rabbia
La notizia dell'imminente liberazione è stata accolta a Kinshasa con scene di gioia nei ranghi del Movimento di liberazione del Congo (Mlc), i cui militanti stanno organizzando festeggiamenti per il suo arrivo a Bruxelles. Anche nella capitale congolese c'è chi lo acclama ancora come il “salvatore della patria“, mentre il Congo si sta incamminando verso cruciali elezioni presidenziali il prossimo 23 dicembre. Al contrario, stupore, rabbia e sgomento in Centrafrica, dove l'avvocato delle vittime, Marie Edith Douzima denuncia una sentenza “puramente politica e vomitevole“, sottolineando che con questa decisione inspiegabile la Cpi “perde totalmente credibilità, anche agli occhi delle vittime che vedevano in lei una speranza di giustizia”. (AGI) Vqv/Zec