Non accenna a diminuire lāintensitĆ delle proteste portate avanti dallāopposizione armena nei confronti della nomina a primo ministro dellāex presidente Serzh Sargsyan. I manifestanti (secondo alcune fonti piĆ¹ di 150mila armeni sono scesi in piazza dallāinizio delle proteste) hanno nuovamente invaso le strade principali di Erevan, bloccando lāaccesso a Piazza della Repubblica, punto nevralgico del centro cittadino. Lāispiratore del movimento di protesta, Nikol Pashinyan, ex editore, giornalista con chiare ambizioni politiche, nonchĆ© a capo del partito āIntesa Civicaā (confluito poi nella coalizione āYelkā), ha fatto sapere tramite una conferenza stampa tenutasi lo scorso martedƬ che le manifestazioni non cesseranno fino a quando lui stesso non verrĆ eletto primo ministro dallāAssemblea Nazionale, in quanto āscelto dal popoloā, ritenendo sufficiente considerare la portata ed il numero dei manifestanti come prova di consenso nei suoi confronti. Tutto ciĆ², ovviamente, andrebbe completamente contro qualsiasi principio costituzionale del Paese caucasico, dove lāelezione del primo ministro spetta unicamente al Parlamento. Appena lunedƬ scorso lāex presidente Sargsyan, travolto dalla crescente impopolaritĆ della sua figura (alla guida dellāArmenia dal 2008 sotto le insegne del Partito Repubblicano), ha rassegnato le dimissioni dalla carica di premier dando il via ai festeggiamenti della folla e delegando la travagliata gestione di questa fase di crisi al suo vice Karen Karapetyan, colui che sta portando avanti le complicate trattative con la risoluta opposizione guidata da Pashinyan. La ācaldaā primavera di Erevan ha alternato, per il momento, giorni di protesta pacifica a vari episodi di scontri tra manifestanti e forze dellāordine. Per fortuna, fino ad ora non sembrano esserci vittime tra la numerosissima folla che ha invaso le vie della capitale, visibilmente irritata dal potere reiterato di Sargsyan e del suo Partito Repubblicano.
I recenti tumulti armeni rappresentano solo lāultimo caso di sommosse popolari avvenute nello spazio post-sovietico negli ultimi 15 anni. In tutti i casi il rapporto tra la Russia e le varie Repubbliche interessate dai moti di protesta ha sempre svolto un ruolo centrale nello svolgimento degli stessi (basti pensare allāEuroMajdan ucraino del 2014), pertanto la āprimavera armenaā ha subito destato lāattenzione di vari analisti ed operatori nel settore, in molti giĆ intenti a raccontare lāennesimo regime change ai danni di Mosca tirando in ballo le Ong, la societĆ civile, George Soros, ecc… Nonostante la Federazione Russa stia tuttāora monitorando la situazione con interesse e non senza preoccupazione, il paragone con i fatti del Majdan ucraino rimane, al momento, molto forzato. Nonostante Pashinyan in passato si sia spesso espresso a favore di un ridimensionamento della sfera di influenza russa sullāArmenia (nello specifico, uscita di Erevan dallāUnione Economica Eurasiatica e dalle strutture dellāOdkb), nessun profilo politico con un minimo di buon senso reciderebbe mai gli storici legami politico-culturali intessuti nei secoli da Russia ed Armenia, considerando anche il diverso peso geo-strategico dei due Paesi messi a confronto: mentre lāUcraina ha tentato (con alterne fortune) di sfruttare tutto il suo potenziale āmarginaleā rappresentando un ācorridoioā necessario al collegamento tra Russia e due forze storicamente antagoniste come Polonia e Germania, lāArmenia ha sempre visto in Mosca la āprotettriceā del popolo armeno dalle angherie subite dai Paesi confinanti, ossia Azerbaigian e, soprattutto, Turchia. La Russia, ĆØ bene ricordarlo, ĆØ militarmente presente ed attiva in territorio armeno per via della base di Gyumri.
LāArmenia ĆØ un Paese difficile da caratterizzare: ĆØ saldamente incastonata tra il mondo russofono e quello turcofono, conta appena 3 milioni di abitanti, ma puĆ² avvalersi di una diaspora numericamente considerevole e potente, presente sia a Boston cosƬ come a Beirut; ĆØ un Paese prevalentemente cristiano, ma che intrattiene ottimi rapporti diplomatici con lāIran; il tenore di vita del popolo armeno ĆØ basso, ma la stessa cosa non si puĆ² dire del suo livello medio di istruzione. Stretta nella morsa tra lo storico antagonismo di Istanbul (proprio in questi giorni si ĆØ commemorato lāanniversario del genocidio armeno perpetrato ai primi del ā900 dai turchi) e le provocazioni di Baku (da non dimenticare la questione del Nagorno Karabakh, causa di conflitto nel 1994), Erevan non sembra proprio nella posizione di potersi permettere di voltare le spalle al suo unico e preziosissimo alleato nella regione. Pertanto, le proteste degli ultimi giorni sembrano avere un carattere squisitamente politico-sociale, ma meno āgeopoliticoā: qualsiasi sia lāesito di questa transizione, lāArmenia non sembra possedere sufficienti argomentazioni per alterare gli equilibri politici dello scacchiere caucasico. Nonostante ciĆ² il livello di attenzione di Mosca sembra essere altissimo: ĆØ delle ultime ore la notizia di un colloquio telefonico avvenuto tra Vladimir Putin ed il primo ministro ad interim Karapetyan, durante la quale ĆØ stata ribadita la necessitĆ di risolvere la crisi nei limiti di legge imposti dalla Costituzione e nel rispetto delle elezioni parlamentari avvenute lo scorso anno. La nomina del nuovo capo dellāesecutivo dovrebbe avvenire il primo di maggio. Ć evidente che, nonostante la situazione sia sotto controllo, la Russia, memore delle scottature subite di recente dal suo āestero vicinoā, preferisca una soluzione allāinsegna della continuitĆ con il passato recente.
Giannicola Saldutti ĆØ ricercatore associato dellāIsAG (Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliari)