La Russia vuole vederci chiaro sull’uccisione di Andrey Karlov, suo ambasciatore ad Ankara. Per questo ha annunciato l’invio di 18 ufficiali dei servizi segreti, del Comitato investigativo e del ministero degli Esteri. Mosca, insomma, seguirà da vicino il caso, anche per non farsi trascinare nelle questioni interne della Turchia. Erdogan si è detto, infatti, convinto che dietro l’omicidio si celi ancora una volta la rete golpista di Fetullah Gulen, già considerata responsabile del tentato colpo di Stato dello scorso luglio. Più cauto il Cremlino: “Riteniamo necessario aspettare i risultati del lavoro del comitato investigativo congiunto” ha spiegato il portavoce di Vladimir Putin, Dmitri Peskov.
Nel contempo Ankara ha annunciato che svolgerà “un’indagine scrupolosa” che faccia luce sulle responsabilità a tutti i livelli. Tutto ruota attorno al killer, il poliziotto 22enne Mevlut Mert Altintas, e al suo possibile legame con i gulenisti. A Soke, cittadina della provincia occidentale di Aydin, da cui proveniva Altintas, sono stati fermati i genitori e la sorella, poi altri 3 parenti. Ad Ankara è invece finito in manette il suo coinquilino. Tutti sono sotto torchio, alla ricerca di prove che l’assassino non abbia agito da solo. Tra i fermati anche uno zio del poliziotto, l’unico finora rilasciato in libertà condizionata, che era amministratore di una scuola locale dei “gulenisti”, tra le centinaia chiuse dopo il fallito golpe del 15 luglio.
Secondo gli investigatori, è un primo anello di congiunzione con il presunto “Stato parallelo” dell’imam. In un istituto della rete di Gulen aveva studiato lo stesso Altintas per prepararsi all’esame dell’accademia di polizia. Nelle scorse settimane, come migliaia di altri agenti, era pure finito nelle purghe post-golpe, da cui poi è uscito pulito: sospeso il 4 ottobre, è stato richiamato in servizio il 16 novembre. Tra il 16 e il 18 luglio, all’indomani del tentato colpo di Stato, avrebbe ottenuto un congedo, mentre i membri delle forze di sicurezza venivano richiamati in servizio obbligatorio. A firmarlo un suo superiore poi arrestato come cospiratore. Elementi che però non chiariscono il rapporto del killer con la causa di Aleppo, né l’utilizzo di slogan solitamente attribuiti a gruppi islamisti in Siria.