Poco prima dell’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca i palestinesi sono scesi in piazza a Ramallah, in Cisgiordania, per protestare contro l’intenzione del presidente degli Stati Uniti eletto, annunciata in campagna elettorale, di spostare l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme. Un evento che potrebbe far esplodere le tensioni in Medioriente per il significato simbolico e non solo dello spostamento: Gerusalemme non solo è contesa fra israeliani e palestinesi, ma è la città che questi ultimi vorrebbero come capitale del loro futuro Stato.
“Spostare l’ambasciata in qualsiasi altra parte di Gerusalemme rappresenterebbe una provocazione molto grave – spiega Moustafa Barghouti, politico e attivista palestinese – significherebbe che gli Stati Uniti stanno commettendo insieme ad Israele una violazione della legge internazionale e del principio della non opportunità dell’annessione di altre popolazioni con la forza. Questo spostamento sarebbe un atto che potrebbe aiutare Israele ad eliminare la soluzione dei due Stati e ogni possibilità di pace nel futuro”.
“Se la nuova amministrazione Usa prenderà la decisione di spostare l’ambasciata ne saremo soddisfatti e felici – ha invece commentato l’ambasciatore israeliano a Mosca Gary Koren, intervistato da “Sputnik” -. Il fatto che una parte di Gerusalemme sia la capitale della Palestina non è il problema, la questione è che alcuni negano completamente il diritto di Israele sul (considerare capitale) Gerusalemme”.
A settembre 2016, l’allora candidato repubblicano alla presidenza aveva manifestato a Netanyhau la sua intenzione di riconoscere la “Città Santa” come capitale non divisa dello Stato ebraico. Koren ha ricordato il legame “innegabile” di Israele con Gerusalemme, rafforzato da quando tutti i ministeri più importanti, il Parlamento, la presidenza della Repubblica, e l’ufficio del primo ministro si trovano proprio nell’antica città. “Tutti comprendono che (Gerusalemme) è la capitale fattuale e politica” di Israele, ha concluso.