Sarebbero 3 secondo il Global Times, organo di stampa del partito comunista, i cinesi giustiziati dall’Isis per tradimento. Il quotidiano cita come fonte un anonimo funzionario curdo, secondo il quale il primo dei tre sarebbe stato “arrestato, processato e ucciso” con un colpo di pistola lo scorso settembre, quando avrebbe cercato di lasciare l’organizzazione deluso dai suoi metodi. Secondo la stessa fonte, gli altri due sono stati decapitati a dicembre in Iraq, insieme ad altri 11 militanti di sei Paesi. L’Isis “li accusava di tradimento e di tentativo di fuga”.
Secondo il giornale, i tre cittadini cinesi appartenevano all’Etim, il movimento separatista della regione autonoma ai confini con l’Asia centrale dello Xinjiang, che chiede l’indipendenza da Pechino. Già da tempo le autorità cinesi hanno espresso preoccupazione per l’ascesa dell’Isis e per l’attrazione che esercita sui musulmani del paese, che rischia di esasperare le tensioni già forti nella regione di confine, dove vive la minoranza islamica. In base alle ultime statistiche del Ministero della Pubblica sicurezza cinese, sono state più di 800 le persone arrestate nel 2014 mentre cercavano di varcare i confini cinesi per unirsi ai Jihadisti in Medio Oriente. Secondo stime non riconosciute da Pechino sono circa 300 i militanti cinesi che si sono uniti al gruppo dello Stato Islamico, ma secondo i risultati di un rapporto israeliano della scorsa estate, gli jihadisti cinesi al di fuori deli confini della Cina sarebbero circa mille, molti dei quali si starebbero addestrando nei campi del Pakistan.
La Cina ha deciso tuttavia di non partecipare alla coalizione internazionale contro l’Isis guidata dagli Stati Uniti, ma il ministero degli Esteri ha ribadito l’opposizione a ogni forma di terrorismo e afferma che il paese del Sol Levante è pronto a collaborare con la comunità internazionale per combattere le forze del terrorismo, per “salvaguardare la pace, la sicurezza e la stabilità globale”, senza però citare la vicenda dei tre militanti.