Le tribù “mai contattate” o “incontattate” sono quelle popolazioni che rifiutano, da sempre, il rapporto con il resto del mondo e sono rimaste chiuse nel loro ambito territoriale, a tutela della propria sopravvivenza. Ne esistono in quasi tutto il globo, tranne in Europa e, a differenza dell’immaginario collettivo tramandato dai media, in Africa. Il Continente più povero del mondo, infatti, a dispetto di quello che solitamente la letteratura e la cinematografia sono indotte a riferire, non presenta società incontattate (complice lo sfruttamento indiscriminato del continente che ha raggiunto ogni angolo remoto).
Diffusione
La foresta amazzonica, con la sua estensione enorme di circa 5 milioni e mezzo di chilometri quadrati, costituisce, ancora, il riparo per la maggior parte di queste circa 100 popolazioni estranee al resto del mondo. In realtà, il termine incontattate non significa che non abbiano avuto rapporti con altre civiltà, anzi, proprio questo può essere stato il motivo dominante per isolarsi e proteggersi. Le loro storie sono molto interessanti ma poco conosciute tanto che l’uomo moderno non crede che sia possibile un’aberrazione simile.
Contatti difficili
La notizia dell’uccisione (a metà dello scorso novembre) di John Allen Chau, il ragazzo statunitense intenzionato a contattare gli indigeni dell’isola di North Sentinel (Golfo del Bengala) per avvicinarli al cristianesima, ha accolto risonanza solo a livello internazionale. In Italia non ha avuto molta eco (tranne poche eccezioni, tra cui In Terris) e spesso è stata trattata in trafiletti, come notizia di folclore. In realtà, sono state omesse sia le profonde motivazioni del ragazzo spintosi fin lì, sia la questione di quanto il diritto di queste popolazioni a rimanere preservate possa prevedere reazioni così violente.
I tentativi effettuati in buonafede per aprirle al mondo sono stati vanificati dai casi di sfruttamento e di conquista, per cui la tendenza attuale delle istituzioni coinvolte è quella di non infastidirle. La popolazione dei sentinelesi, in particolare, è considerata una delle più incontaminate e primitive (non conosce l’uso del fuoco né agricoltura e allevamento). La tutela della sua riservatezza (da parte delle autorità indiane) è motivata, poiché tali individui sono completamente privi di difese immunitarie verso le più comuni patologie dell’uomo. Le istituzioni locali si dispongono lungo una prudente politica di come eyes-on and hands-off.
Pregiudizi
In fatto di civiltà, l’uomo moderno crede di essere superiore di gran lunga a queste popolazioni così primitive; a livello strutturale e tecnologico la nostra società è certamente più avanzata. Qualche dubbio si può nutrire sull’aspetto sociale, poiché la solidarietà che si instaura fra questi individui è imparagonabile ed è la loro forza, il segreto per resistere a sfruttatori di varia natura. L’egualitarismo insito in queste popolazioni (al di là di individui incaricati, con posizione di vertice), è di un valore assoluto, frutto di un’assimilazione profonda, realmente condivisa dai nativi, senza obblighi normativi a ribadirlo.
In pericolo
Il dibattito più grande è sul comportamento da osservare: lasciare tali popolazioni nell’isolamento o spingerle verso una graduale integrazione? E’ fondamentale una considerazione: l’indipendenza di queste tribù sarà sempre più a rischio visto il graduale avanzare della “civiltà” e della tecnologia. Prima o poi, vista anche la cupidigia nei confronti della ricchezza (petrolifera, mineraria e boschiva) dei territori ove si trovano, la resa sarà, purtroppo, inevitabile, nonostante gli sforzi per evitarlo. L’interesse per la salvaguardia di tali popoli assume un valore minimale agli occhi degli sfruttatori, in considerazione anche del fatto che ogni tribù sia stimata in un centinaio di individui, alcune neanche raggiungono tale quota.
La strada da percorrere
La sfida passa anche nelle mani della medicina: sarà possibile, un giorno, quando il contatto sarà sempre più frequente e intensivo, riuscire a garantire la salute degli indigeni dinanzi al più comune dei batteri? La sanità dovrà, a livello mondiale, porsi il problema di queste popolazioni non numerose né ricche ed essere umile nell’accettare i loro molteplici segreti (frutto di cultura ed esperienza millenaria) di carattere medicinale, individuati soprattutto nelle piante, nonché di sopravvivenza all’ambiente.
La speranza è che nel selvaggio non si cerchi soltanto un’occasione per attirar curiosi (vissuti a suon di suggestioni cinematografiche e letterarie) e turisti, piuttosto una risorsa da difendere e da cui apprendere, sia a livello linguistico sia di migrazioni antiche non del tutto chiarite, per un’integrazione e una convivenza che, al momento, sembrano impossibili.
La tematica è di fondamentale importanza: richiede un’attenzione continua e non occasionale sull’onda emotiva (neanche tanto diffusa dai media) di un grave episodio, come nel caso del povero ragazzo ucciso a novembre.