La crisi economica che fagocita il Sudan ha costretto il presidente Omar Al Bashir a sciogliere il governo. Scelta dettata dall'insostenibilità della situazione, che rischia di avere ripercussioni sul fronte dell'ordine pubblico. Al Paese è mancato persino il pane, oltre al carburante e a una valuta forte.
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Il 74enne presidente ha anche deciso per un taglio del numero dei ministeri, portandoli da 31 a 21, e secondo quanto riferisce l'agenzia Reuters ha nominato Motazz Moussa – ex ministro dell'agricoltura e dell'elettricità – nuovo primo ministro. Rimangono al loro posto il ministro ella Difesa e dell'Interno.
Allo stremo
La situazione in Sudan è preoccupante soprattutto per quel che riguarda l'inflazione e gli allarmanti livelli di liquidità nelle banche commerciali. Nelle ultime settimane le code agli sportelli bancari della capitale Khartoum sono diventate un appuntamento quotidiano per i sudanesi, con molti di essi ormai privi di denaro contante. In alcune aree del Paese il tetto al prelievo di contanti è stato fissato a 500 sterline sudanesi (meno di 25 euro). Tutto ciò, nonostante la decisione da parte degli Stati Uniti lo scorso ottobre di sospendere l'embargo petrolifero ai danni di Khartoum (anche se permane la designazione di “Stato sponsor del terrorismo”, che dissuade gli investitori).
Genesi della crisi
L'economia sudanese è in crisi almeno dal 2011, anno in cui è stata formalizzata la secessione e l'indipendenza del Sud Sudan, nel quale erano situati i tre quarti dei giacimenti petroliferi del Paese. Solo nell'ultimo anno, il prezzo di molti beni di prima necessità è raddoppiato, mentre la sterlina sudanese ha perso valore in modo costante rispetto al dollaro. Per provare a frenare il crollo, la Banca centrale solo quest'anno l'ha svalutata due volte. Oggi il tasso ufficiale di cambio col dollaro è uno a ventotto, mentre quello sul mercato nero è uno a quarantuno. Al Sudan manca peraltro un governatore della Banca centrale da giugno, quando Hazem Abdelqader è morto a causa di un infarto mentre era in viaggio in Turchia.
Avvisaglie di questa profonda crisi c'erano già state lo scorso aprile, quando il ministro degli Esteri Ibrahim Ghandour aveva informato il Parlamento che il suo dicastero non era più in grado di pagare gli stipendi al suo staff, venendo poi in breve tempo rimosso dalla sua posizione. Ne era poi seguito un primo rimpasto di governo, con la sostituzione dei ministri del petrolio, dell'Interno, dell'agricoltura, della Giustizia e delle politiche giovanili.