Un passaggio di consegne storico quello avvenuto in Giappone, con l'imperatore Akihito che abdica ufficialmente in favore di suo figlio, Naruhito, al quale ha consegnato le tre sacre Insegne imperiali. Non accadeva dal 1817, quando l'Impero non era ancora entrato nell'era del rinnovamento Meiji e l'allora regnante Kokaku scelse di lasciare il trono al suo quarto figlio, Ninko. Nessun giapponese ha memoria di un simile evento e, come ovvio, la singolare scelta di colui che verrà da ora conosciuto come Heisei, non ha mancato di creare scalpore nella popolazione nipponica, che si trova ad assistere al saluto ufficiale di un imperatore popolare, che ha profondamente rinnovato questa figura, fondamentale per la millenaria cultura giapponese, incrementandone il peso diplomatico e facendosi promotore di importanti relazioni internazionali. In Terris ha provato a delinearne la figura con l'aiuto della dottoressa Francesca Manenti, analista geopolitico e ricercatrice presso il Centro studi internazionali (Cesi).
Dott.ssa Manenti, oggi è un momento storico per il Giappone, in cui l'imperatore Akihito lascerà ufficialmente le insegne a suo figlio. Una figura, quella di Heisei, che ha segnato un punto di svolta, non solo per aver ereditato il trono in un momento di forti cambiamenti sociali…
“Assolutamente. Il ruolo dell'imperatore era stato modificato già durante gli accordi fra Stati Uniti e Giappone stipulati subito dopo la Seconda guerra mondiale. Era stato chiesto e ottenuto dai giapponesi che la sua figura fosse totalmente svincolata da qualsiasi forma di potere politico concreto all'interno del Paese. E se questo è accaduto nel periodo successivo al conflitto bellico, con Akihito si è effettivamente avuta una sorta di reinterpretazione di un ruolo che, fino a quel momento, era stato davvero più che altro spirituale. Per secoli in Giappone l'imperatore ha rappresentato la divinità anche se, inevitabilmente, le vicende storiche avevano fatto cambiare costituzonalmente questa figura, lasciando comunque sempre intatto il legame con il popolo. Quello che lui ha fatto è stato dare una nuova forma non tanto negli incarichi, perché ufficialmente non poteva esserci un vero e proprio impegno politico, ma nell'interpretazione di un ruolo che è stato sempre visto come un punto di riferimento. Quindi un imperatore non più connotato nella sua dimensione spirituale avuta in passato ma che rimaneva comunque un riferimento per la popolazione. Anche perché il Giappone, da che è iniziata l'era Heisei (nome imperiale di Akihito, ndr) a partire dall'89, come tutto il mondo stava vivendo grandi cambiamenti, dalla fine della Guerra fredda alle nuove dinamiche economico-sociali, come l'arrivo della globalizzazione che non ha portato solo grandi mutamenti sul piano economico ma anche dei riflessi sulla gestione di queste dinamiche. Quindi momenti di grande cambiamento a cui il Giappone si è trovato a dover rispondere e in cui l'imperatore ha cercato di ritagliarsi uno spazio”.
In che modo?
“Innanzitutto facendosi il promotore del rilancio delle relazioni internazionali del Giappone nei confronti del mondo esterno. Akihito è sempre stato un grande sostenitore delle relazioni pacifiche, di equilibrio e di buon vicinato, sia con gli altri Stati della Regione – pensiamo ad esempio agli incontri che ha avuto in Cina ma anche in Corea del Sud – ma, più a 360 gradi, con tutta la Comunità internazionale. Ha assunto quindi un ruolo che, per quanto non potesse avere un diretto risvolto politico, è in qualche modo servito come volto del Giappone all'estero. Da un punto di vista interno, invece, è stato una figura di riferimento in momenti di grande cambiamento che da una parte si sono tradotti in alterni risultati economici e di sviluppo sociale – pensiamo solo al grande problema dell'invecchiamento della popolazione -. D'altro canto, la figura di Akihito è stata vicina alla popolazione in periodi di grandi disastri ambientali. In questo senso, ad esempio, è importante ricordare le sue visite agli accampamenti”.
L'ingresso nell'era della modernità ha cambiato la figura dell'imperatore anche nell'immaginario dei giapponesi o permane una concezione che va oltre il mero ruolo politico?
“Il Giappone è un Paese fiero e che ha sempre ben presente la propria cultura e le proprie radici. Quindi, nonostante la modernizzazione nei diversi aspetti della vita quoditiana, c'è sempre una modulazione di questi aspetti all'interno di quelli che sono i grandi valori e il tracciato della cultura giapponese. Questo perché l'imperatore per i giapponesi, per quanto abbia cambiato ufficialmente ruolo nel corso del tempo, rimane una figura chiave. Akihito è riuscito a interpretarla in un determinato modo avvicinandosi alle persone ma non credo che questo abbia significato la discesa dal gradino, quanto più la volontà di dimostrare un volto più umano e più vicino al popolo giapponese in momenti di difficoltà”.
Ormai nel pieno dell'era della globalizzazione, Naruhito si troverà di fronte a ulteriori sfide?
“Quello che si sta vivendo in questi giorni è sicuramente un passaggio storico perché ci sarà un'abdicazione, un passaggio di consegne tra un imperatore – che rimarrà probabilmente 'emerito' – e il successore, suo figlio, che si trova a dover raccogliere un'eredità importante e che sembra voler portare avanti l'esperienza del padre. Quindi, cercare di mantenersi fuori dai giochi e gli scenari politici del Giappone e promuovere un ruolo diplomatico, seppur ufficiosamente, soprattutto nelle relazioni internazionali”.
Nessun giapponese ha memoria di un'abdicazione imperiale. In che modo è stata accolta la scelta di Akihito?
“In questo caso sembra esserci stato un dibattito. E' stata una scelta profondamente sentita dal popolo giapponese e si è per questo cercato di capirne le motivazioni. C'è chi ha parlato della volontà di fare un passo indietro da parte dell'imperatore per una mancanza di riconoscimento della sua figura rispetto alle politiche del governo Abe, che sembrano indirizzate verso un ripensamento della Costituzione e del ruolo del Giappone nel concerto internazionale. Altri, invece, hanno salutato questa scelta come una volontà di farsi da parte per il rispetto di un ruolo importante e fondamentale che richiede impegni onerosi e che non sarebbe riuscito, per l'età, a onorare in modo efficace”.
Al di là della ridefinizione della figura imperiale, quanto peso reale esercita il ruolo dell'imperatore – in questo caso colui che verrà – rispetto alle politiche giapponesi?
“L'imperatore è una figura che continua a esercitare un certo fascino, anche per quello che rappresenta per il popolo giapponese e quindi il ruolo che si era ritagliato Akihito (e che sembra voler continuare Naruhito), potrebbe continuare a essere sostanzialmente diplomatico, finalizzato a tessere, a facilitare e supportare il processo di diplomazia del Giappone nei confronti degli altri Paesi. Un ruolo quindi fatto di importanti visite istituzionali, ma che rimane scollato dal dibattito e dal tracciato politico del governo giapponese, che continua ad avere chiare priorità politiche e che difficilmente tenterà di andare a modificarle in base alla nuova connotazione della figura imperiale. Inoltre, stiamo parlando di un imperatore che si troverà a raccogliere un'eredità importante a fronte di un governo uscito solo qualche mese fa dalle elezioni, che ha un'agenda politica alle spalle e un tracciato davanti a sé, con obiettivi che vuole raggiungere”.
Ieri si è svolta una particolare cerimonia di avvicendamento, la cosiddetta consegna delle Insegne imperiali…
“Si tratta di tre doni, tre tesori sacri che rappresentano le grandi virtù: il valore, la benevolenza, la saggezza. La gemma, la spada e lo specchio vengono posti davanti all'imperatore per simboleggiarne la legittimità della successione”.