Steve Bannon, ex stratega di Donald Trump, sarà interrogato dagli investigatori ma, per il momento, non comparirà davanti a una giuria. Questi i termini di un accordo raggiunto con il procuratore speciale per il Russiagate, Robert Mueller. Ciò conferma la volontà di Bannon a collaborare con gli inquirenti.
L'accusa
Ipotesi che, stando a quanto sostenuto dal deputato democratico Adam Schiff, preoccupa così tanto Donald Trump da indurlo a ordinare a Bannon di non rispondere a certe domande. E' un “obbligo di non divulgazione” (“gag order”), ha sostenuto Schiff – membro della Commissione intelligence della Camera nelle indagini sul Russiagate – definendo “audace” la mossa della Casa Bianca di invocare il privilegio esecutivo, che protegge il presidente ed altri membri dell'esecutivo dai mandati di corpi legislativi o giudiziari finalizzati all'acquisizione di informazioni. Sarah Sanders, portavoce di Trump, ha sostenuto che la presidenza non è preoccupata di quello che Bannon potrebbe dire ma non ha detto se la Casa Bianca gli ha ordinato di non rispondere, limitandosi a sottolineare che, “come per tutte le inchieste che riguardano la Casa Bianca, il Congresso deve consultarsi con essa prima di ottenere materiale confidenziale“.
Bocca cucita
Bannon si è rifiutato di rispondere a domande sulle sue comunicazioni con l'ex consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn (indagato nel Russiagate) e con l'ex capo dello staff Reince Priebus. E avrebbe fatto scena muta anche su momenti chiave come il licenziamento del capo dell'Fbi James Comey e il proprio coinvolgimento nella redazione del comunicato “fuorviante” della Casa Bianca sull'incontro alla Trump Tower fra il primogenito del presidente ed emissari russi durante la campagna elettorale. Un rifiuto che gli è costato un mandato di comparizione da parte della Commissione intelligence, dopo quello di Mueller perché testimoni davanti ad un grand giurì. Nel caso continuasse a non rispondere, rischia di vedersi contestare l'accusa di disprezzo verso il Congresso.