Il riconoscimento di Gerusalemme come capitale d'Israele è “un insulto a milioni di persone nel mondo ed anche alla città di Betlemme“. Lo ha detto nel suo messaggio natalizio il presidente Abu Mazen secondo cui la mossa di Trump “ha incoraggiato l'illegale disgiunzione tra le due città sante di Betlemme e Gerusalemme, separate per la prima volta in oltre 2 mila anni di cristianità”.
Ricorrenze
Gli Stati Uniti, ha aggiunto Abbas, “hanno deciso di sostenere le rivendicazioni e la retorica di Israele su un'esclusiva 'capitale ebraica', al di la dell'inclusione e del rispetto che una città importante alle tre religioni monoteistiche dovrebbe avere”. Questo anno come ogni anno, ha spiegato, “la anime di miliardi di persone guardano verso Betlemme per celebrare la nascita di Gesù Cristo, il messaggero di amore, pace e giustizia… Questo Natale segna 50 anni di occupazione israeliane. La prossima pasqua il nostro popolo ricorderà anche i 70 anni dalla 'Nakba' che ha provocato il nostro esilio. Entrambe, l'occupazione e l'esilio sono realtà attuali per 12 milioni di palestinesi che vivono in tutto il mondo”. Molti di loro, ha sottolineato, “sono parte della più antica comunità cristiana nel mondo, ancora negati dal vivere e pregare nella terra di Gesù solo perché Israele considera tutti i palestinesi come una 'minaccia demografica'”. Abu Mazen ha poi ricordato che Betlemme è “circondata da 18 insediamenti coloniali illegali“.
Scontri e vittime
Due manifestanti, intanto, sono morti negli scontri con l'esercito israeliano nei pressi della barriera di demarcazione con Israele. Lo ha detto un portavoce del ministero della Salute citato da fonti locali che parlano anche di oltre 40 feriti. Circa 1700 persone sono scese in strada in vari punti della Cisgiordania e altre 2000 a Gaza lungo la linea di demarcazione con Israele. Questi i numeri forniti dall'esercito israeliano sulla partecipazione agli scontri in corso alla fine delle preghiere nel terzo venerdì di collera indetto dalle fazioni palestinesi dopo la scelta di Trump su Gerusalemme. In entrambi i casi – ha spiegato l'esercito – i manifestanti “hanno lanciato bombe incendiarie e sassi“: i soldati hanno risposto “con mezzi di dispersione“.